Cambiare una specialità medicinale può essere a volte banale. Cambia il nome commerciale ma il principio attivo è lo stesso, la dose anche, al di là della “simpatia” che possiamo provare per quel farmaco che, magari, assumiamo da anni, il problema vero non c’è. Il discorso varia se, invece, proprio quella specifica specialità medicinale non c’è più e dobbiamo cercarne un’altra, con un principio attivo diverso. E magari anche all’estero, come avviene anche in Fvg.
Già qui i problemi, invece, possono insorgere, la terapia potrebbe non avere l’effetto voluto, o generare reazioni avverse, o provocare ricadute di una patologia.
Ma che cosa genera la carenza dei farmaci? Le ragioni possono essere diverse, e alcune “mancanze” possono essere temporanee, generate da problemi di produzione generati, ad esempio, da una richiesta non prevista di quella specialità che la produzione non riesce a soddisfare, oppure dalla carenza di una sostanza che compone il farmaco.
Accade anche che la casa farmaceutica decida di interrompere definitivamente la produzione di un medicinale perché non è più conveniente, o che il farmaco venga proprio ritirato dal mercato.
Oltre a tutte queste legittime motivazioni, vi è poi anche un fenomeno “distorsivo” legato alle esportazioni parallele. In questo caso la ragione della “scomparsa” di un medicinale è determinata dal fatto che, magari nel Paese vicino, quella specialità ha una remunerazione più elevata (a volte significativamente più alta) e quindi venga privilegiato il mercato estero, trascurando quello nazionale.
Sono molti gli esempi di farmaci che scompaiono e attivi in varie branche: tra questi alcuni antitumorali, gli antiepilettici, eparine a basso peso molecolare, antipsicotici, farmaci per il trattamento del morbo di Parkinson e dell’ipertensione.
È emblematico il caso del Pramipexolo, farmaco per il trattamento del morbo di Parkinson, che può essere acquistato in Italia ad un prezzo 5 volte inferiore di quanto viene venduto in Germania. Ne consegue che questo medicinale diventa presto irreperibile in Italia, ma acquistabile oltreconfine ad un prezzo molto più elevato. Proprio recentemente l’Aifa ha comunicato che un medicinale per questa patologia è tornato ad essere disponibile, sebbene non in tutte le modalità (compresse “normali”, compresse a rilascio modificato…).
«Su tali confezioni – sottolinea Aifa – può ancora registrarsi una discontinuità della disponibilità nelle singole rivendite, legata all’elevata richiesta generata a seguito del precedente stato di carenza».
Va detto che recentemente le direttive sono cambiate e l’Aifa chiede alle case farmaceutiche di comunicare con un preavviso di alcuni mesi le prevedibili carenze. Nel decreto Calabria, inoltre, la legge estende da due a quattro mesi il termine entro cui il titolare dell’Aic del medicinale deve comunicare l’interruzione temporanea o definitiva della commercializzazione del medicinale.
L’estensione dell’intervallo temporale si ritiene necessaria, per consentire all’Aifa di avviare ogni necessaria iniziativa per scongiurare possibili criticità connesse alla potenziale carenza del medicinale. Inoltre la ministra Grillo ha pochi giorni fa convocato al ministero della Salute un tavolo con le istituzioni e gli attori coinvolti nella produzione e distribuzione dei medicinali (Ministero, Aifa, Agenas, Regioni, Farmindustria, Assogenerici, Federfarma, distributori-grossisti).
«È necessario creare finalmente una strategia strutturale in grado di superare un problema non più tollerabile.
La periodica carenza di farmaci è una piaga che spesso mette a rischio la salute dei pazienti. Chi ha bisogno di terapie non può vivere nell’angoscia di non avere a disposizione i medicinali per curarsi», ha detto Giulia Grillo.
Ricordiamo, infine, che un decreto legislativo del 2006 prevede che il farmaco – che dovrebbe essere reperibile e non lo è – venga richiesto direttamente alla casa produttrice che è obbligata a fornirlo entro le quarantotto ore. —