Ruba l'auto di mamma e si schianta: i sogni di Daniele, morto a 16 anni e impaziente di lavorare
Fagagna, frequentava con profitto il Bearzi e da anni collaborava con la Pro loco di Battaglia. Gli abbracci con nonna e i ricordi del papà: «Voleva sporcarsi le mani e darsi da fare»

FAGAGNA. Non c’era sera che non si concludesse con il bacio della buonanotte a nonna Ninfa. Bersaglio di scherzi innocenti che si concludevano con una risata di entrambi e quel «None, mi vûtu ben?», preludio ironico all’immancabile abbraccio.
Daniele Burelli era così: saldamente ancorato all’ambiente familiare, appassionato di tutto ciò che aveva a che fare con saldature e metallo, coinvolto fin da piccolissimo nelle attività della Pro Loco di Batae, presieduta da papà Marco.
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Un’anima che ribolliva dalla voglia di lavorare, apprendere, scoprire, mettere le mani su ogni cosa che avesse vagamente a che fare con la meccanica. Una mente forse troppo grande per stare nel corpo esile e slanciato di un sedicenne: la voglia di bruciare le tappe, manifestata tante volte in modo sano, questa volta l’ha tradito.
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L’auto della mamma, dove si rifugiava per avere un po’ di intimità, si è trasformata in trappola fatale. Sette amici, tutti più piccoli di lui che già era troppo piccolo, stipati con lui in quell’Opel Corsa, finita schiantata contro un palo della luce sulla strada che da San Daniele doveva riportarlo verso casa.
L’ultimo anelito è racchiuso in quel WhatsApp mandato a mamma Enrica all’1.32, dopo essersi accorto di essere stato scoperto dai genitori: «Sto arrivando».
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Uno studente modello
Daniele frequentava la seconda del corso Cnos-Fap (elettrotecnica e meccanica) all’istituto Bearzi. «Era bravo, il preside l’aveva inserito nel gruppo dei “ciceroni” incaricati di seguire le future matricole nelle “Scuole aperte” – racconta con orgoglio il padre –. Voleva iscriversi a meccatronica e poi andare a lavorare: “Papà, non voglio avere le mani come il sederino di un neonato”, mi ripeteva spesso, per dimostrare la voglia di darsi da fare».
Le finestre della casa di via Principale sono appannate: sul tavolo ancora da sparecchiare due panini, che nessuno ha toccato. Lì, in un angolo, due piccole opere d’arte fabbricate da Daniele, che poche ore prima di morire ha fatto in tempo a lavorare su due lamine d’aratro, trasformate abilmente in tabelle: «Famiglia Burelli», ha composto a caratteri cubitali su una, strappando al papà la promessa di poterla appendere sul cancello di casa.
Il motorino e l’auto
Dietro quel cancello c’è un mondo. Anzi: c’è «il regno di Daniele», prosegue Marco. Una tettoia a fare da officina casalinga, gli attrezzi, un motorino degli anni Ottanta rimesso a nuovo: «Era un po’ selvatico, non avevo lasciato che prendesse il patentino a quattordici anni.
L’ha fatto nei mesi scorsi, assieme alla sorella, che nel frattempo ha preso la patente dell’auto: ero andato nei giorni scorsi a pagare e ritirare le carte», ricostruisce il papà scolpendo le immagini nella sua memoria. «Dovevamo sistemarlo assieme: nei giorni scorsi avevo comprato lo stucco per mettere a posto il serbatoio».
E poi l’auto. «Si rifugiava lì per avere un po’ di intimità: telefonava, ascoltava musica, stava per conto suo». Mamma Enrica annuisce, silenziosa. «Non avrei mai pensato potesse metterla in moto e guidarla. Non so cosa gli sia saltato in mente», non si dà pace il padre.
Le ultime ore
Padre con il quale Daniele aveva un rapporto speciale. Lo chiamava “il vecchietto”, per prenderlo in giro con affetto. Assieme avevano iniziato a preparare il presepe del borgo, uno dei fiori all’occhiello della Pro Loco che Marco presiede da anni.
«Finito di allestirlo sono passati di qua», racconta il titolare del Miribar, a cinquanta metri da casa Burelli. Due naturrali per papà e il fratellino più piccolo, una frizzante per il sedicenne, che proprio nel locale ha parlato con Redento, anima degli scampanotadôrs della zona: avrebbe voluto imparare a suonare le campane, altra passione da aggiungere alle tante inanellate fin qui.
Tornato a casa, Daniele si è messo sui libri, poi è uscito in cortile. Prima di mezzanotte, probabilmente, esce e con gli amici arriva alla paninoteca “Il santo”, di San Daniele. All’una nonna Ninfa, svegliata dal temporale che infuriava, è scesa al piano terra: ha visto la porta d’ingresso solo accostate e, preoccupata, ha avvisato la nuora. L’allarme è scattato quando la donna ha notato che nella corte interna l’Opel Corsa non c’era.
«Ci siamo precipitati a Cassacco, poi a Dignano: qualcosa mi trasportava verso San Daniele», ripercorre ancora il padre. Le chiamate, senza risposta. E poi, come una vampata di torrida speranza, quel messaggino su WhatsApp: «Sto arrivando».
La mamma risponde: «Stai lì, veniamo noi a prenderti». Daniele visualizza, ma non risponde più: è l’1.32. Secondo la ricostruzione dei carabinieri di San Daniele la Corsa si è schiantata dieci minuti dopo, in un tratto rettilineo della provinciale 5.
Alle due la macchina con a bordo i genitori del giovane passa l’incrocio di Villanova: «Ho visto i lampeggianti in lontananza e ho capito subito. Mi hanno detto che era meglio non avvicinarmi: per Daniele non c’era più nulla da fare», piange il papà. —
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