Le Frecce tricolori realizzano il sogno di Emanuele che lotta per vivere
Affetto da una malattia rara è in terapia intensiva da 175 giorni. Il padre Andrea: i piloti della Pan sono stati stupendi, grazie

Anche se non riesce a vedere il cielo, Emanuele Spessotto con l’immaginazione vola tra le nuvole lasciando dietro di sé una scia di speranza spronando così i ricercatori a trovare una cura per combattere la sindrome di Kearns Saye, la malattia rara che a 12 anni gli ha rubato la vista per poi tormentare il suo cuore e quello che ha ricevuto in dono da chi come lui avrebbe voluto vivere.
Emanuele è ricoverato da 175 giorni nel reparto di terapia intensiva e semintensiva dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine, dove, l’altro giorno, ha ricevuto la visita della Pattuglia acrobatica (Pan) e con i piloti delle Frecce tricolore è volato in alto per lanciare un altro accorato appello: «Non lasciatemi solo».
A Emanuele non manca l’affetto dei genitori, Cristina e Andrea Spessotto sono al suo fianco giorno e notte, quello degli amici e del mondo che lo circonda, a Emanuele e a tutti coloro che come lui sono affetti da malattie rare, manca una cura che non possono smettere di chiedere.
E se per farlo diventa necessario rendere pubblica le loro storie, papà Andrea oltre a trasformare il suo profilo Facebook in un libro aperto, è pronto a coinvolgere i mondi cari a Emanuele, quello dell’opera, dell’aeronautica, dello sport e dello spettacolo, pur di far sentire la sua voce.
Ha scritto al comandante della Pan, l’ha invito nel reparto di terapia semintensiva e quando ha ricevuto la conferma mai avrebbe immagino di trovarsi di fonte l’intera pattuglia. Anche questo è sinonimo di vicinanza per chi soffre.
«Il comandante della Pan, Gaetano Farina, assieme ai piloti della pattuglia acrobatica delle Frecce tricolori, tutti in divisa, sono venuti a trovare Emanuele in ospedale e sono riusciti a farlo sentire un piccole eroe» racconta Andrea in uno dei rari momenti in cui riesce a uscire dalla stanza del figlio. Quel figlio che come lui sta vivendo un calvario, «una situazione devastante».
Andrea si commuove, la sua voce si spezza soprattutto quando scrive e racconta l’affetto che Emanuele ogni giorno riceve da dentro e fuori l’ospedale. La visita della Pan è solo l’ennesima dimostrazione di amore verso un ragazzo che non riesce a vedere il sole, che ha subito un trapianto di cuore, che ha superato quattro arresti cardiaci e che non smette di dire «voglio vivere».
Ai piloti della Pan ha teso la mano e con loro ha viaggiato virtualmente a bordo delle Frecce tricolore: «Quando se ne sono andati – rivela il papà – Emanuele ha detto “andremo a trovarli presto e faremo un giro su quell’aereo”. Andrea non sa se potrà esaudire il desiderio del figlio, «il domani – scrive ancora rivolgendosi alla Pan – non lo conosciamo, ma sappiamo che siete stati stupendi. Grazie».
Le parole di Andrea vanno e vengono, trattiene le lacrime, non può permettersi di piangere perché suo figlio non lo fa mai. «In questi 175 interminabili giorni, solo due sere Emanuele si è lasciato sorprendere dalla tristezza che l’ha avvolto soprattutto nella notte di Natale quando ha avvertito l’eco dello scambio d’auguri arrivare dal corridoio».
Il papà ripensa a quei momenti per ricordare a chi leggerà questa storia che «Emanuele ha solo 17 anni, la sua malattia gli ha impedito di immedesimarsi in quello che i suoi coetanei fanno normalmente. Negli ultimi cinque anni la malattia gli impedito di rincorrere il pallone, di salire in sella alla bicicletta», ma non gli ha impedito di ascoltare l’opera: Emanuele ama Rossini come Katia Ricciarelli che alle volte glielo ricorda in un video. Non gli ha impedito di lottare, questo Emanuele lo sa fare senza tanti tecnicismi sorprendendo i medici che dopo ogni attacco stentano a comprendere come quel ragazzo, oggi diciassettenne, possa ancora alzare il pollice per dire «va tutto bene».
Il padre vorrebbe vedere alzare lo stesso pollice per poter dire «va tutto bene grazie a una cura». Vorrebbe archiviare il ricordo del suo peregrinare da un ospedale all’altro, delle diagnosi terribilmente uguali, delle ricadute inattese, dei lunghi e delicati interventi chirurgici a cui è stato sottoposto suo figlio. Tutto è iniziato con una visita oculistica al San Raffaele e poi al Besta di Milano.
Da quel momento la famiglia Spessotto ha intrapreso un viaggio estenuante che spera ancora di poter concludere superando le barriere che neppure la ricerca scientifica è riuscita a scavalcare. Andrea spera che in qualche laboratorio in un luogo lontano qualcuno trovi una via d’uscita: «Le malattie rare sono un mondo sconosciuto. Spesso ci si sente impotenti, inutili, deboli, fragili, impauriti. Non è facile stare vicino a Emanuele, tenergli la mano e non poter fare nulla per aiutarlo, è – ripete – semplicemente devastante». Lo è per tutti anche per i sanitari che ogni giorno non fanno mancare a quel piccolo grande eroe le loro attenzioni.
I genitori di Emanuele vogliono parlarne, sperano di sensibilizzare le case farmaceutiche e le istituzioni affinché investano nella ricerca per arginare la propagazione di una malattia che oggi è rara ma che in futuro potrebbe colpire un maggior numero di persone.
«Non facciamo scivolare Emanuele in un posto buio» scrive ancora Andrea scagliandosi contro «la malattia cattiva, subdola e vigliacca». Il suo messaggio è arrivato alla Fondazione Telethon che ogni anno, con l’aiuto della gente, devolve decine di milioni di euro alla ricerca scientifica per combattere le malattie rare. A Udine una squadra partecipante alla maratona ha indossato la maglietta con il logo “Forza Ema” e chissà che il prossimo anno qualcuno non venga a raccontarci i progressi fatti nel campo della sindrome di Kearns Sayre, la malattia che colpisce i centri energetici delle cellule.
Non è una battaglia impossibile, Emanuele se ne è reso conto e ce la sta mettendo tutta per evitare di dargliela vinta. Lotta come un leone da anni sapendo che ha di fronte un avversario ancora invincibile.
Dal 2015 ha festeggiato diversi compleanni in ospedale, è riuscito a sopravvivere grazie a un trapianto di cuore a cui è stato sottoposto due anni fa. «Non è per niente facile – racconta il padre – accettare da un’altra famiglia in lacrime la speranza: una giovane vita spezzata ingiustamente ha regalato a mio figlio la possibilità di continuare a vivere e questo ci ha dato la forza di affrontare il trapianto».
Fu uno dei primi interventi al mondo effettuati su un paziente affetto dalla sindrome di Kearns Saye. Neppure il decorso si rivelò facile, intervallato da continui controlli, sofferenze lasciava però intravvedere le stelle nel cielo buio della notte. Quelle stesse stelle che Emanuele, l’altro giorno, ha visto brillare a bordo del velivolo della Pan volando sopra le nuvole là dove la speranza non smette mai di esistere.
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