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Vergogna Regeni, fallisce il faccia a faccia

Magistrati egiziani collegati con Roma. Chieste informazioni su Giulio. La famiglia: «Ennesima offesa, via l’ambasciatore»

Francesco Grignetti
2 minuti di lettura
(ansa)

ROMA. Una gran delusione. E l’amara sensazione che il caso di Giulio Regeni sia finito su un binario morto. Ecco che cosa resta della videoconferenza di ieri tra le procure di Roma e del Cairo. Un appuntamento molto atteso, che giunge dopo quasi un anno di gelo nei rapporti giudiziari tra le due sponde del Mediterraneo.

E che però non ha registrato alcun passo avanti, come dice la famiglia: «Un fallimento». Il comunicato redatto dal procuratore di Roma, Michele Prestipino, al termine di una conversazione a cui ha partecipato il pm Sergio Colaiocco, suggerisce che i magistrati romani non vogliono ancora rompere, concedono tempo agli egiziani, sono disposti ad accettare ancora una volta i minuetti del rinvio, ma anche che il tempo sta per scadere.

«Il procuratore di Roma – si legge – ha insistito sulla necessità di avere riscontro concreto, in tempi brevi, alla rogatoria avanzata nell’aprile del 2019 ed in particolare in ordine all’elezione di domicilio da parte degli indagati, alla presenza e alle dichiarazioni rese da uno degli indagati in Kenya nell’agosto del 2017». Così come per una richiesta finora non nota: sono stati identificati altri soggetti della National Security, collegati ai cinque fin qui iscritti al registro degli indagati, e si chiedono nuove informazioni sul loro conto.

Perfino quello che appare un passaggio banalmente tecnico, ovvero il domicilio dove notificare gli atti della giustizia italiana agli indagati, si va rivelando un ostacolo insormontabile. Anche ieri gli egiziani non hanno risposto. D’altra parte la loro sarebbe una risposta ad alta valenza politica, perché farebbe scattare il processo verso i 5 agenti della National Security che i nostri inquirenti hanno individuato come i probabili esecutori del rapimento, tortura e omicidio di Giulio. Lo stallo continua.

Eppure sono trascorsi 14 mesi da quella richiesta. E allora, giustamente, la famiglia Regeni insorge. «Un fallimento. Il tempo della pazienza e della fiducia è scaduto. Chi sosteneva che la migliore strategia verso gli egiziani per ottenere verità fosse quella della condiscendenza, chi pensava che fare affari, vendere armi e navi di guerra, stringere mani e guardare negli occhi gli interlocutori egiziani fosse funzionale ad ottenere collaborazione giudiziaria, sa di aver fallito. Richiamare l’ambasciatore oggi è l’unica strada percorribile».

L’incontro di ieri a momenti ha assunto toni surreali. Se gli italiani hanno sollecitato le risposte, i magistrati egiziani hanno tenuto anch’essi a far vedere che stanno indagando. «Hanno formulato alcune richieste investigative finalizzate a meglio delineare l’attività di Regeni in Egitto».

Una richiesta che ha suscitato il dolore della famiglia. «Addirittura – scrivono Paola e Claudio Regeni, insieme con la loro legale Alessandra Ballerini – si sono permessi di formulare istanze investigative sull’attività di Giulio. Istanze che oggi, dopo 4 anni e mezzo dalla sua uccisione, senza che nessuna indagine sugli assassini e sui loro mandanti sia stata seriamente svolta al Cairo, suona offensiva e provocatoria. Nonostante le continue promesse non c’è stata da parte egiziana nessuna reale collaborazione. Solo depistaggi, silenzi, bugie ed estenuanti rinvii». I Regeni ormai non s’aspettano più nulla, se non un gesto d’orgoglio.

Siccome però gli egiziani queste richieste le avevano già avanzate qualche mese fa, e la procura aveva già risposto, la nuova risposta arriverà al Cairo in tempi rapidissimi. Quanto al punto principale, e cioè le richieste avanzate da Roma per rogatoria 14 mesi fa, «il procuratore generale egiziano ha assicurato che sulla base del principio di reciprocità le richieste avanzate dalla procura di Roma sono allo studio per la formulazione delle relative risposte».


 

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