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Coronavirus, Speranza: «Il picco in arrivo tra sette giorni, gli esperti del Cts dicono che la curva si sta stabilizzando»

Il ministro della Salute: «Ci sono ragioni per credere che le ultime misure stiano iniziando a dare risultati». Rispetto a marzo: «Situazione molto diversa: non avevamo mascherine, terapie intensive e protocolli di cura»

4 minuti di lettura

ROMA. «Io resto molto prudente, ma i nostri esperti del Cts ci dicono che la curva dei contagi si va stabilizzando. È ancora presto per dirlo, aspettiamo altri dati, ma ci sono valide ragioni per credere che le ultime misure che abbiamo adottato comincino a dare qualche risultato…». Appena conclusa l’ennesima conference call della domenica pomeriggio, Roberto Speranza sfoglia l’ultimo report del Comitato Tecnico Scientifico, e per la prima volta sul campo della battaglia al Covid la paura lascia qualche centimetro di terreno alla fiducia.

I contagi rimangono alti, le terapie intensive restano sottoposte a una pressione crescente, le vittime aumentano. «Le criticità ci sono tutte, e mi sono ben evidenti», osserva il ministro della Sanità. «Ma se guardiamo ai numeri, ci accorgiamo che i nuovi casi di coronavirus registrati nello scorso weekend sono gli stessi di quest’ultimo sabato e domenica. Vuol dire che il contagio si è fermato? Ancora non lo sappiamo con sicurezza, ma i nostri esperti ci dicono che i primi segnali di stabilizzazione ci sono tutti. Se questo è vero, si conferma la validità della strategia che abbiamo adottato, che alla fine è molto chiara: vogliamo governare la curva, senza arrivare al lockdown totale. E si conferma la necessità di non mollare adesso: i prossimi sette-dieci giorni saranno decisivi, e ci diranno se la divisione del Paese in tre zone, e il meccanismo sostanzialmente automatico delle restrizioni regione per regione, sta dando i frutti che tutti speriamo».

La strategia sarà anche chiara, ma ha suscitato infinite polemiche. Dentro il governo, all’interno della comunità scientifica, con i governatori regionali e i sindaci, con le opposizioni. E ha scatenato molte proteste sociali, in qualche caso sfociate in vere e proprie rivolte. Speranza ha ben chiaro il problema, ma difende tutte le scelte fatte. «Parliamoci chiaro, anch’io capisco chi dice “era meglio fare il lockdown totale subito, come a marzo”. Ma obiettivamente oggi la situazione è diversa da marzo: allora non avevamo le mascherine, non avevamo le terapie intensive, non avevamo protocolli farmacologici. Oggi siamo in difficoltà, su qualche fronte siamo anche in ritardo, ma non combattiamo a mani nude come sette mesi fa». Certo, il ministro non nasconde che il sistema sanitario sia sotto stress, che il personale medico e infermieristico sia quasi allo stremo, che i pronto soccorsi siano assediati, che i posti in molte terapie intensive, a partire dal Piemonte, siano quasi esaurite. Ma anche lì vede segnali di stabilizzazione: «Negli ultimi mesi abbiamo avuto il cosiddetto aumento esponenziale di terapie intensive: un giorno 20 ricoveri, il giorno dopo 40, quello dopo ancora 80, e poi 120, e così via. A questi ritmi è chiaro che il sistema non regge. Ma se guardiamo alla media mobile dell’ultima settimana ci siamo assestati intorno a quota 100. Se ci stabilizziamo su questi livelli anche la settimana prossima, abbiamo fondate ragioni per ritenere che siamo arrivati al cosiddetto “plateau”, che equivale poi a un indice Rt uguale a 1. Vuol dire che per ogni nuovo contagiato che entra in intensiva un altro ne esce. Il nostro auspicio è che nella settimana ancora successiva, grazie alle ultime ordinanze sull’allargamento della zona rossa, l’indice possa scendere sotto 1. A quel punto i pazienti che escono saranno più di quelli che entrano, e il sistema torna ad essere perfettamente sostenibile».

Resta il fatto che da mercoledì della scorsa settimana, cioè da quando Speranza ha varato l’ordinanza che ha spostato in zona rossa Campania e Toscana e altre cinque regioni in zona arancione, mezzo Paese è entrato di fatto in lockdown totale. Ad oggi, 27 milioni di italiani sono in zona rossa. I governatori regionali sono furiosi. De Luca dice che questo è un «governo di sciacalli», persino il mite Giani usa parole di fuoco.

Il ministro capisce, ma non arretra. «Senta, in Lombardia, prima della chiusura, l’indice Rt era a 2, ora siamo già a 1,2. In Campania abbiamo visto tutti le immagini del Vomero di sabato, con un fiume di gente per strada, e quelle di domenica, con le strade deserte. E così per la Toscana, e per le altre regioni che erano già in zona rossa. Tutti si lamentano, il giorno dopo. Ma vedrà che tra dieci giorni, se tutto va come speriamo, ci ringrazieranno, e diranno “avremmo dovuto farlo prima”. Perché il nostro modello funziona. E i passaggi da una zona all’altra, concepiti con un meccanismo quasi automatico basato su dati e parametri predefiniti, sono una forma di tutela della salute dei cittadini, e non una pagella politica per i presidenti di regione. Loro ci mandano i dati, l’Istituto superiore di sanità li elabora e mi fornisce una scheda, e io in base a quella firmo le ordinanze». Ma i Cacicchi locali non l’hanno capito. L’unico è il governatore dell’Alto Adige, che ha spedito i dati al ministero consapevole che sarebbe scattata la zona rossa, e a quel punto ha chiamato Speranza 24 ore prima dell’ordinanza per chiedergli: «A questo punto gioco d’anticipo, e la zona rossa la decreto io. Le creo problemi?». Speranza, ovviamente, ha dato via libera.

Questa è «leale collaborazione tra istituzioni». Non il caotico «filibustering» scatenato dai governatori, incapaci di assumersi la responsabilità delle scelte più impopolari di fronte al proprio territorio, e dunque ai propri elettori.

Il ministro non vuole dare altro fuoco alle polveri. «Qualcuno dice che dovrebbero ringraziarmi, perché faccio il “lavoro sporco” al posto loro? Non è così, io faccio un lavoro nobile, si tratta di salvare la vita di tante persone…». Resta da capire se il vaccino è la svolta che aspettavamo, e se a dicembre arriveranno davvero le prime dosi. Anche su questo Speranza invita tutti alla cautela: «Stiamo calmi, il vaccino arriverà, ma sui modi e i tempi io voglio fare un passaggio in Parlamento e poi con le Regioni. In ogni caso, all’inizio avremo solo una quota minima di dosi, che ci consentirà di vaccinare, se va bene, 1,7 milioni di persone, tra personale medico-sanitario e Rsa. Certo, quando faremo la prima giornata di vaccinazioni, che io prevedo si possa organizzare tra la terza e la quarta settimana di gennaio, vivremo un grande evento, anche simbolico. Ma ripeto, dobbiamo dire la verità alla gente: sarà solo una prima fase, che coinvolgerà un numero molto limitato di persone. Per le vere vaccinazioni di massa dovremo aspettare il secondo semestre del 2021, non prima».

Ognuno si può fare una propria idea, di questo ministro della Sanità. Ma nessuno può dire che non sia politicamente e intellettualmente onesto. E con la stessa, disarmante franchezza, conclude i suoi ragionamenti con un pensiero sul Natale. «Capisco che le Feste siano un momento importante, per tutti gli italiani. E vedo che molti, anche nel governo, si esercitano sul tema. Ma diciamolo con chiarezza: a Natale mancano quaranta giorni, che sul piano epidemiologico sono un tempo molto lungo. La mia testa non è concentrata su quello che succederà tra un mese e mezzo, ma su quello che accadrà alla fine della prossima settimana. Su come saranno andati, lunedì prossimo, la curva dei contagi, le terapie intensive, l’indice Rt, le altre aree mediche al di fuori del Covid. È su questo che ci giochiamo tutto, non sul cenone del 24 dicembre, con o senza i nonni o i parenti di primo grado. Questa, per me, è davvero una discussione lunare. Per questo chiedo a tutti gli italiani di tenere i piedi ben piantati sulla terra». (m.gia.)

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