Cadde l’aereo, morì la madre: quattro mesi al figlio che lo pilotava

CAMINO AL TAGLIAMENTO. Era il decollo più atteso per entrambi: per lui, che finalmente riusciva a condividere la passione del volo con la madre, e per lei, che per la prima volta avrebbe osservato dall’alto la terra farsi piccola accanto al figlio.
L’emozione, però, era durata poco. Il tempo di prendere quota, allontanarsi dall’aviosuperficie “Al Casale” di Codroipo, e accorgersi che l’ultraleggero stava perdendo potenza. Vertiginosamente, al ritmo dei battiti del cuore e della paura. Fino al tragico schianto sulla sponda destra dell’argine del Tagliamento, in località Pieve di Rosa, a Camino al Tagliamento.
Era il 30 luglio 2016 e Paola D’Aloisio, residente a Morsano al Tagliamento, aveva 71 anni. Lei morì sul colpo, mentre suo figlio Piero Giovanni Gnesutta, colonnello dell’Esercito oggi 54enne, pure di Morsano, riportò ferite gravi che lo costrinsero per giorni in Terapia intensiva, a Udine.
Una tragedia familiare cui si è aggiunto il peso doloroso della sentenza di condanna che ha chiuso il primo atto del procedimento giudiziario per l’ipotesi di reato di omicidio colposo avviato dalla Procura di Udine nei confronti di Gnesutta, in quanto pilota del velivolo, un Vds avanzato Tecnam P92, al momento dell’incidente.
Ritenendolo colpevole della negligenza o, comunque, dell’imprudenza contestate dal pm Elena Torresin, il giudice monocratico Carla Missera, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, gli ha inflitto quattro mesi di reclusione, con i doppi benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione. Un verdetto più misurato rispetto alla condanna a un anno proposta dalla pubblica accusa, ma che il difensore, avvocato Simone Zancani, del foro di Venezia, ha accolto con estremo disappunto.
«È un esito che non trova adeguato riscontro nell’istruttoria dibattimentale e che sposa integralmente la tesi del pm e di un consulente con zero ore di esperienza di volo», ha commentato il legale, che aveva chiesto l’assoluzione e che continuerà ora a dar battaglia in appello.
Le indagini si erano chiuse confermando l’esistenza di un errore umano nella conduzione del velivolo. Secondo il consulente della Procura, una volta in volo verso Morsano al Tagliamento Gnesutta avrebbe chiuso i rubinetti dei serbatoi alari presenti in cabina (o uno solo, dopo l’altro), così occludendo il passaggio del carburante sulla linea di aspirazione che alimentava la pompa meccanica. Con il risultato di determinare la riduzione della pressione carburante e, poi, l’arresto improvviso e il conseguente spegnimento del motore.
Di tutt’altro segno le conclusioni del generale Alberto Moretti, l’ex comandante delle Frecce Tricolore incaricato dall’imputato. «Abbiamo dimostrato che chiudendo i rubinetti del carburante durante il volo il motore non si spegne nei tempi indicati dall’apparecchio di registrazione dei parametri di volo. Il motore – ha sostenuto l’avvocato Zancani – si è spento da solo.
È avvenuta cioè una piantata improvvisa del motore, evento previsto dallo stesso libretto di istruzioni. Gnesutta ha gestito in modo corretto l’emergenza – ha aggiunto –, ma il suo tentativo di atterraggio su un prato di barbatelle non è riuscito bene». Nel procedimento nessuna delle parti offese (il coniuge e un altro figlio della vittima), tutte risarcite, si era costituita parte civile. —
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