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La Procura di Roma: "Sappiamo chi ha ucciso Regeni, abbiamo le prove". Il Cairo: "Sono insufficienti"

Marco Maffettone
2 minuti di lettura

ROMA. La Procura di Roma non si ferma e lo dice a chiare lettere agli omologhi egiziani nell'ennesimo, forse ultimo, incontro tra magistrati.

«Siamo pronti a chiudere le indagini a carico di cinque agenti dei vostri servizi segreti accusati del sequestro di Giulio Regeni. Abbiamo le prove, abbiamo le testimonianze - hanno sostanzialmente detto i magistrati italiani in video conferenza con le autorità del Cairo -, entro pochi giorni chiederemo di processarli, anche senza elezione di domicilio».

Una decisione non condivisa dal procuratore egiziano che «avanza riserve sul quadro probatorio che, a suo dire, è costituito da prove insufficienti per sostenere l'accusa in giudizio».

«In ogni caso - spiega una nota congiunta dei due uffici giudiziari - la procura generale d'Egitto rispetta le decisioni che verranno assunte, nella sua autonomia, dalla procura della Repubblica di Roma».

Un equilibrismo lessicale che fa intendere come rimanga strettissimo il passaggio nella collaborazione giudiziaria tra i due Paesi. Dal canto loro, infatti, gli egiziani affermano, a quasi cinque anni dal brutale omicidio del ricercatore friulano, che per loro «è ancora ignoto» l'autore.

Il procuratore Hamada al Sawi ha comunicato al procuratore Michele Prestipino e al sostituto Sergio Colaiocco, di «avere raccolto prove sufficienti nei confronti di una banda criminale accusata di furto aggravato degli effetti di Regeni che sono stati rinvenuti nell'abitazione di uno dei membri della banda criminale».

Per l'alto magistrato egiziano «le indagini hanno accertato che la stessa banda aveva già compiuto atti simili ai danni di cittadini stranieri, tra i quali anche un altro cittadino italiano e alcune testimonianze acquisite hanno consolidato il quadro probatorio.

Inoltre il modus operandi della banda - è detto nella nota - è caratterizzato dall'utilizzo di documenti contraffatti di appartenenti alle forze dell'ordine. La procura generale dei Egitto ha spiegato che procederà per queste ragioni nei loro confronti con la chiusura provvisoria delle indagini, incaricando gli inquirenti competenti di intraprendere tutte le misure necessarie per giungere all'identificazione dei colpevoli dell'omicidio».

Per i genitori di Regeni quello di lunedì 30 novembre è «l'ennesimo incontro infruttuoso tra le due procure. Le strade tra i due uffici giudiziari non sono mai state cosi divise». E ancora «in questi 5 anni abbiamo subito ferite e oltraggi di ogni genere da parte egiziana, ci hanno sequestrato, torturato e ucciso un figlio, hanno gettato fango e discredito su di lui, hanno mentito, oltraggiato e ingannato non solo noi ma l'intero Paese».

Paola e Claudio Regeni, assistiti dall'avvocato Alessandra Ballerini, «apprezzano la risoluta determinazione dei nostri procuratori che hanno saputo concludere le indagini, senza farsi fiaccare nè confondere dai numerosi tentativi di depistaggio, dalle interminabili dilazioni e dalle mancate risposte egiziane», ma «stigmatizzano una volta di più la costante e plateale assenza di collaborazione da parte del regime che continua a non rispondere alla rogatoria del 29 aprile 2019 e non ha neppure voluto fornire l'elezione di domicilio dei 5 funzionari della National Security iscritti nel registro degli indagati due anni fa.

Crediamo che il nostro governo debba prendere atto di questo ennesimo schiaffo in faccia e richiamare immediatamente l'ambasciatore», concludono. E per Erasmo Palazzotto, presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, «la presa di posizione egiziana che, rifiutandosi di fornire una risposta alle richieste dei nostri magistrati, rilancia l'ennesimo tentativo di depistaggio nella fase conclusiva delle indagini è un insulto alla nostra intelligenza, un oltraggio che non possiamo permetterci di subire.

Il Governo assuma tutte le misure necessarie a tutelare la dignità e la credibilità internazionale del nostro Paese. Questa non è una vicenda privata della famiglia Regeni, ma una questione nazionale che ci riguarda tutte e tutti».

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