"Sono positivo al coronavirus. E adesso?". Notifiche, certificati e quarantena: cosa funziona e cosa no in Fvg
Dato che chi è costretto in casa (come gli asintomatici) si aspetta risposte tempestive, si attacca subito al telefono quando si accorge che le tanto attese telefonate del Dipartimento non arrivano. Neppure dopo giorni di attesa. E non arriva, come invece era stato promesso, neppure un sms con l'esito del tampone

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UDINE. Si è ormai creata una frattura fra chi è isolato in casa perché contagiato dal coronavirus e chi dovrebbe fornire assicurazioni, risposte e documentazione ufficiale, ossia il Dipartimento di prevenzione delle aziende sanitarie. Il problema sembra essere sentito soprattutto in provincia di Udine all’Asufc (Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale), ma non c’è dubbio che in tutte le aziende sanitarie del Friuli Venezia Giulia i Dipartimenti siano messi sotto pressione da una notevole mole di lavoro e la distanza dai cittadini stia aumentando.
Nessuna risposta. In particolare sta accadendo che ormai da settimane è difficilissimo mettersi in contatto con il Dipartimento, visto che nessuno risponde al numero di emergenza Covid-19 (che per l’Asufc è 0432-553264): la linea è intasata. Gli operatori non riescono a fronteggiare la marea di chiamate che si riversa su questo numero dalle 8.30 alle 14 (in altri orari il numero non è attivo). Gli addetti sono già troppo impegnati a contattare le persone positive per risalire alla catena di contagio, eseguire il tracciamento, emettere il certificato di isolamento o quarantena, fissare le date per l’esecuzione dei tamponi, controllare l’evoluzione dei casi, compilare infine il certificato di guarigione che restituisce la libertà di movimento a chi ha terminato il periodo di isolamento con un tampone negativo.
I certificati di fine quarantena
Ma chi viene contagiato ha spesso l’esigenza di mettersi in contatto con il Dipartimento per le esigenze più varie: dubbi, domande, richieste di chiarimenti su rilasci del certificato di isolamento, dell’impegnativa per il tampone, dell’esito del tampone, del certificato di guarigione. E dato che chi è costretto in casa (come gli asintomatici) si aspetta risposte tempestive, si attacca subito al telefono quando si accorge che le tanto attese telefonate del Dipartimento non arrivano. Neppure dopo giorni di attesa. E non arriva, come invece era stato promesso, neppure un sms con l’esito del tampone.
Qualche soluzione c'è
C’è chi chiama anche venti, trenta, quaranta volte il numero del Dipartimento senza riuscire ad avere risposta. Si crea così una distanza e una mancanza di fiducia tra il malato e l’istituzione che spesso non viene colta dai vari responsabili, sia a livello sanitario, sia a livello politico.
Cosa resta da fare a chi, forse anche spaventato, si ritrova da solo, isolato in una stanza, senza risposte? Una soluzione è quella di chiamare il medico di base e riversargli addosso tutti i dubbi, i problemi e le richieste, a partire da quella che forse angoscia di più il paziente, ossia conoscere l’esito del tampone. Pochi hanno infatti gli strumenti per entrare nel portale “Sesamo” dove si possono consultare i propri dati clinici, compresi i referti dei tamponi.
Chiedere aiuto al medico di base. Il medico di base ha accesso alla cartella clinica del paziente e – se ha tempo e disponibilità – può fornire al paziente almeno questa risposta. Ed è già molto sapere se si è positivi o negativi.
Coinvolti in prima persona nella lotta alla pandemia i medici di base stanno ora prendendo posizione (dopo aver raggiunto un accordo per eseguire personalmente i tamponi) e hanno sul tavolo alcune proposte da sottoporre ai vertici della sanità regionale. Tutto ciò sta avvenendo in questi giorni con incontri e riunioni a cui partecipano tutti i vari protagonisti, politici compresi.
«I pazienti contagiati o che temono di esserlo sono molto ansiosi e hanno bisogno di risposte rapide – sottolinea Khalid Kussini, segretario provinciale di Udine della Fimmg (Federazioni italiana medici di medicina generale) – . Le criticità del Dipartimento di prevenzione non possono pesare sul cittadino. Sappiamo che il Dipartimento di prevenzione ha una mole enorme di lavoro da svolgere e non ha personale a sufficienza.
Da parte nostra c’è la disponibilità a fare qualcosa in più che toglierebbe un po’ di pressione sul Dipartimento. Stiamo chiedendo di potere almeno emettere noi i certificati di malattia da presentare all’Inps, che invece accetta soltanto quelli del Dipartimento di prevenzione. Non capisco perché il nostro certificato possa valere per l’Inps per tutte le altre fattispecie, ma non per il Covid. Siamo pubblici ufficiali e, se abbiamo l’esito positivo del tampone, dovremmo poter anche firmare il certificato di malattia che così aiuta il paziente ad accorciare i tempi burocratici con il datore di lavoro. In Veneto Zaia ha già dato il via libera a tutto ciò. Lo stiamo chiedendo anche a Fedriga».
Il certificato di guarigione. C’è stato anche chi ha pensato di risolvere un altro punto critico ricorrendo – per ora – a un “accordo tra gentiluomini”. Lo spiega il dottor Ezio Beltrame, consigliere della Fimmg e rappresentante dei medici dell’area dell’ex azienda Sanitaria numero 3 (quella che comprende i territori di Codroipo, San Daniele, Tolmezzo, Gemona): «Possono passare anche molti giorni prima che il Dipartimento di prevenzione possa rilasciare il certificato di guarigione a una persona che, dopo aver contratto il virus, abbia poi passato dieci giorni in isolamento con un tampone negativo al termine del periodo. Non sempre, infatti, il Dipartimento riesce a inviare tempestivamente il certificato di guarigione.
Una persona sana non può dunque tornare alla vita attiva e al lavoro. La legge prevede che le forze dell’ordine possano anche denunciare chi è uscito dall’isolamento senza il certificato di guarigione. Per risolvere questo problema, nell’area dell’ex Azienda 3, ci siamo riuniti con il Dipartimento di prevenzione, l’Inps e le forze dell’ordine raggiungendo un’intesa informale che fa prevalere il buon senso.
L'intesa con il Dipartimento
Si tratta di questo: chi, dopo l’isolamento, è in possesso del referto del tampone negativo, può comunque uscire di casa anche se non ha ricevuto il certificato di guarigione del Dipartimento di prevenzione.
Le forze dell’ordine – nel caso dovessero controllare questa persona – prenderanno nota dei suoi dati e del referto del tampone con la negatività e verificheranno nei giorni successivi l’arrivo del certificato di guarigione. Quando sarà emesso il certificato, si chiuderà la pratica: non scatterà la denuncia, né alcun altro tipo di sanzione». «Certo – sottolinea Beltrame – si tratta di un accordo informale, ma faciliterebbe moltissime persone che ora sono costrette a casa anche per giorni pur essendo in possesso dell’esito negativo del tampone».
Manca personale
Su posizioni diverse un altro sindacato, lo Snami (Sindacato nazionale autonomo medici italiani), che non pensa tanto ad attribuire più competenze ai dottori di famiglia, quanto a impiegare sul campo nuove forze che andrebbero a rinforzare chi sta già dando tutto quello che può nella lotta contro il Covid.
«Il Dipartimento di prevenzione deve svolgere molti ruoli per i quali non è prevista la surroga – sottolinea il dottor Stefano Vignando, segretario regionale dello Snami – , ma nell’ottobre 2019 l’assessore regionale Riccardo Riccardi firmò con i sindacati un accordo dedicato alla continuità assistenziale. All’articolo 15 si disciplina un rapporto orario che consente ai medici di affiancare il Dipartimento di prevenzione nei compiti più vari. Questo consente di far lavorare anche sei ore al giorno un medico libero da altri impegni professionali».
«Questa possibilità però – precisa Vignando – finora non è stata presa in considerazione: eppure si potrebbe dare lavoro a chi non ce l’ha, dagli specializzandi ai neolaureati, ai medici. Potrebbero andare a lavorare in Dipartimento, ma anche sul territorio. In questo modo si rafforzerebbe la rete di protezione al cittadino anche a domicilio, evitando l’intasamento dei pronto soccorso.
I fondi Covid potrebbero coprire queste spese, ma vedo che non c’è visione, non c’è volontà di risolvere le cose. Non si capisce che il silenzio che il cittadino carico d’ansia trova quando cerca di rivolgersi al Dipartimento di prevenzione crea un vulnus tra lo stesso cittadino e le istituzioni sanitarie. Bisogna pensare ad assistere le persone, non a far quadrare i bilanci».
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