I rifugi immersi nella neve e intorno regna il vuoto: la disperazione dei gestori costretti a restare chiusi

UDINE E PORDENONE. Stop allo sci, agli impianti di risalita, ai rifugi, alle strutture ricettive in generale: la montagna ha subìto un duro colpo all'indomani della decisione del ministro della Salute di posticipare l'apertura della stagione al 5 marzo, cancellando di fatto l'ordinanza con la quale il presidente della Regione aveva disposto il ritorno degli sciatori a partire da venerdì 19 febbraio.
«Una stagione senza speranza. Meglio chiusi piuttosto che aperti per 20 giorni, assumere e licenziare, comprare alimenti e gettarli». Katiusha Polloni e Riccardo Donò a Piancavallo gestiscono dal 2012 Baita Arneri e il rifugio Val dei Sas («chiuso, ma paghiamo spese e riscaldamento»), raggiungibili con impianti di risalita.
Piancavallo, il rifugio è chiuso: l'amarezza dei gestori
«A piedi ci vogliono dai 50 minuti all’ora e mezza». Vivono di turismo invernale: «Il blocco è stato un fulmine a ciel sereno». In tempi ordinari Baita e rifugio danno lavoro a 15-17 persone, ora tutti a casa.
«Qualche collaboratore a chiamata, ma è impossibile prevedere le presenze. In tempi normali sono 300 mila primi passaggi a stagione. Trattati come locali di paese: a -15° costretti a dare una birra all’esterno, ma in zona arancione abbiamo preferito chiudere».
In zona gialla la Baita è aperta dalle 8 alle 18: «Rischiamo il crollo, i primi aiuti non di spettano. Il Comune di Aviano ci ha dato mille euro. Il 16 febbraio dovremo pagare le tasse lo stesso».
La rabbia e la delusione degli operatori turistici di Sappada, all'indomani dell'ennesimo rinvio da parte del governo dell'apertura degli impianti di risalita, è tanta.
In particolare, i ristoratori i cui locali si trovano sulle piste da sci, dimostrano grande preoccupazione per una stagione turistica che, ora, può dichiararsi definitivamente distrutta. Vincenzo Giacobbi, titolare del ristorante Ski bar, prospiciente le piste da sci di Sappada dedicate ai principianti, esprime tutta la sua rabbia per la "mazzata" ricevuta domenica con l'annuncio del ministro Speranza, con un post sui social e scrive "Grazie di averci informato con congruo anticipo delle vostre decisioni; ci avete stupito poiché siete stati più veloci di noi nel cambiare i programmi e purtroppo non è un complimento".
Giacobbi allude alle tempistiche della comunicazione del governo che arriva dopo quella regionale, stando alla quale gli impianti sarebbero stati aperti il 19 febbraio prossimo. Giacobbi, nel suo post, annuncia tuttavia: "Noi comunque restiamo aperti e i nostri ragazzi resteranno assunti."
Allarga le braccia Teodoro Caldarulo, gestore della Baita Goles sullo Zoncolan, e rimprovera: «Per noi questi slittamenti continui, tra Cts, ordinanza di Fedriga e governo, significano dire addio alla stagione e un grave danno economico.
Non si può dire un giorno prima che tieni chiusi gli impianti di sci. Io l'affitto lo devo pagare comunque e non ho ricevuto alcun ristoro. I miei 28 posti letto tutti prenotati su due settimane sono già svaniti e le 5 persone assunte in più ora devono stare a casa (lo sono da ottobre)».
Sara Polo dell'hotel La Perla di Ravascletto aveva riaperto lo scorso fine settimana, dopo 4 mesi e mezzo di fermo, ma così ha richiuso. Aveva già richiamato una dozzina di collaboratori, perché l'inverno di solito ha il tutto esaurito su 80 posti letto.
«Eravamo - ammette - abbastanza preparati a un nuovo slittamento. Mi disturba però l'incertezza in cui siamo tenuti. Se sai subito che non lavori, ti prepari alla stagione estiva. Sono però ottimista, ci rifaremo appena usciremo da questa pandemia. Non mi piango addosso, combatto con ottimismo».
I rifugi di quota non riapriranno. Inutile ed esoso a questo punto della stagione. Amarezza e rassegnazione a Forni di Sopra, dove la notizia arriva come l’ennesima esasperante sfida a ristoratori e operatori del settore turistico che, questa volta, dichiarano di dover gettare la spugna.
«Era possibile adottare una strategia per affrontare emergenza e crisi. Stagione persa e fallimento del piano per salvaguardare il turismo invernale». É lo sfogo di Monica Cedolin, gestrice dello Zwar bar di Forni.
«Il danno non è solo istantaneo, ma si ripercuoterà a lungo termine sull’economia montana. I numeri delle casse, esprimono la drammaticità dei fatti. A pesare, anche il mancato afflusso dei turisti stranieri.
Abbiamo dovuto ripensare e riprogrammare continuamente le nostre attività. Per me che lavoro da quasi 40 anni nell’alberghiero, è stato fondamentale cercare di dare garanzie contrattuali ai miei dipendenti. I decreti degli ultimi mesi hanno realizzato l’assassinio del settore». —
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