Negozi di prossimità, sentinelle di montagna con ambizioni digitali
Oltre 50 negozi delle aree interne intervistati in una ricerca Hanno reagito al lockdown con spesa a casa e wi-fi gratis
Tanja Ariis maniago
I negozi di prossimità della montagna friulana hanno mostrato il loro punto di forza con la pandemia: il senso di comunità che li caratterizza e che indica loro la via della pluralità di servizi e della ricerca di innovazione. Titolari e gestori sono aperti a percorrerla per crescere. Hanno però bisogno di una continuità da parte dei clienti che vada oltre i lockdown e di un supporto mirato sui loro progetti da parte degli enti locali.
Lo rivela “Gli Ultimi. Forme di welfare comunitario”, l’indagine finanziata da Fondazione Friuli, Intesa Sanpaolo, sostenuta dalle Aziende sanitarie del Friuli entrale e occidentale e condotta dalla cooperativa Cramars di Tolmezzo con l’impresa sociale Melius, e il dibattito che ne è derivato ieri, quando la ricerca è stata presentata in diretta Facebook da Stefania Marcoccio, presidente di Cramars con Giuseppe Morandini, presidente di Fondazione Friuli, Francesca Nieddu, direttore regionale Veneto Est e Fvg Intesa Sanpaolo, Maurizio Ionico, amministratore unico di Melius, la ricercatrice Aura Zanier e Marco Bussone, presidente di Uncem.
Sono 52 negozi di prossimità delle tre Aree Interne del Fvg: alimentari di piccole dimensioni (80 per cento), attività comprensive di bar e alimentari (16 per cento) e altre tipologie in 33 comuni (Ampezzo, Arta Terme, Barcis, Cavasso Nuovo, Cavazzo Carnico, Chiusaforte, Claut, Enemonzo, Forni di Sopra, Forni di Sotto, Lauco, Maniago, Meduno, Moggio, Paluzza, Paularo, Pontebba, Prato Carnico, Resia, Rigolato, Sappada, Sauris, Sequals, Socchieve, Sutrio, Tarvisio, Tramonti di Sopra, Tramonti di Sotto, Treppo Ligosullo, Malborghetto Valbruna, Verzegnis, Vito d’Asio, Vivaro). I titolari o gestori per il 56 cento sono donne e per il 43 cento hanno dai 40 ai 50 anni. La pandemia è stata una sfida per loro (che vivono la loro azienda come un presidio locale contro lo spopolamento) e ha fatto scoprire ai residenti la vivacità e importanza di tali attività. Durante il lockdown hanno attivato servizi come la consegna della spesa a domicilio (il 60 per cento), l’allestimento di spazi per incontri comunitari (22 per cento), l’accesso gratuito alla rete wi-fi (10 per cento) e la consegna giornaliera di pane e latte (8 per cento).
Il 52 per cento ritiene utile gestire una bacheca locale di incontro tra domanda e offerta di beni e servizi, il 36 per cento è interessato a offrire fine settimana tematici per la vendita di prodotti della tradizione e il 12 per cento è disponibile a ospitare un internet point. Molti desiderano riqualificare edifici, locali e spazi. Il 30 per cento vuole scambiare esperienze professionali, il 20 per cento creare relazioni con i produttori locali, il 17 per cento cerca collaborazioni per costituire una rete di acquisti, il 17 per cento desidera un portale per il commercio elettronico, il 13 per cento è propenso allo scambio di prodotti e servizi. Si avverte la necessità di crescere su internet e digitale.
«Un territorio che già prima della pandemia – afferma Morandini – lanciava segnali di aiuto è l’arco alpino friulano, al contempo resiliente e critico. Per questo la Fondazione Friuli ha lanciato un bando ad hoc per la montagna per intervenire sulle problematiche che la ricerca realizzata da Cramars e Melius illustra». —
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