La musica tratteggia un ritratto d’Israele L’opera di Leykin letta da uno scrittore
“Il concerto” è l’ultimo romanzo dell’ex primario di Anestesia La disamina di un altro autore pordenonese, Gianni Zanolin

la recensione
gianni zanolin
Isidor Olschanski è un grande direttore d’orchestra, ebreo, israeliano di origine polacca. Viene scelto per dirigere l’Orchestra Filarmonica d’Israele nel concerto che annualmente si tiene in occasione del giorno dell’indipendenza del 2012. Organizza un breve viaggio che lo conduce a Tel Aviv, per concordare il programma del concerto. Giunto in città subisce però il richiamo del passato. Quando nel 1962, con la famiglia, giunse in Israele, fu loro assegnato un alloggio in un campo di transito per immigrati, alle porte della città, separato dal mare da dune di sabbia. Il villaggio era fatto di baracche di asbesto, cioè di amianto. Allora, ovviamente, nessuno sapeva che quel materiale era pericoloso e noi oggi possiamo leggere questo fatto come un’ulteriore prova nel difficile cammino per trovare una nuova patria cui erano sottoposti quegli ebrei provenienti da tutto il mondo. Isidor constata che del villaggio non c’è più traccia, nemmeno memoria. Ma per lui quello era il luogo in cui, poco più che sedicenne, aveva vissuto un momento formativo decisivo e un travagliato passaggio alla maturità.
Non era il primo figlio dei suoi genitori. Un altro Isidor l’aveva preceduto, ma era morto ad Auschwitz, da cui invece padre e madre riuscirono incredibilmente a salvarsi. Il ragazzo era stato un violinista prodigioso, merito di un grande talento ma anche di una famiglia di musicisti e dell’attenta guida di un giovane grande maestro di Cracovia, che noi conosciamo come “il Professore”. Per un altro strano e fortuito caso, anche il Professore, tanto provato dall’esperienza dello sterminio da abbandonare la musica, era ospite del villaggio fatto di asbesto. Il nuovo Isidor era stato concepito e allevato dai genitori nella folle pretesa che sostituisse in tutto il primogenito morto, di cui ogni anno la famiglia festeggia il compleanno. Nei ricordi del neo Isidor leggiamo tutta la fatica cui si deve sottoporre per consentire al progetto che è soprattutto materno.
Fra le tante conseguenze della Shoah troppo raramente ci capita di considerare anche il dolore che fu indotto dalla pretesa di alcuni di sostituire le vittime della persecuzione. Leykin crea perciò un personaggio infrequente nella sterminata letteratura, ebraica e no, dedicata all’Olocausto e questo libro è anche la storia del percorso di salvezza dalla famiglia, e dalla madre in particolare, che il direttore d’orchestra è riuscito con difficoltà ad intraprendere. Ma queste sono solamente alcune delle possibili, complesse letture de “Il concerto”. Siamo infatti al tempo in cui assieme ai fuggiaschi e sopravvissuti, in uno Stato d’Israele ormai consolidato, giungono anche ebrei cui il Santo Benedetto ha consentito di non vivere direttamente quell’inferno. Sono iracheni, algerini, marocchini e anche sovietici, che progressivamente provano attrazione per quel nuovo Paese, talvolta per poi rifuggirne, scoraggiati dalle difficoltà di una lingua del tutto nuova e di forme e abitudini non conosciute. Questi arrivi rafforzano e complicano la nuova patria: sarà una estroflessione delle esperienze residue degli ebrei askenaziti del centro e dell’est Europa? Riuscirà invece a tener conto delle culture, soprattutto sefardite, di chi giunge dall’oriente e dal nord-Africa? «Se c’è una cosa che può far dialogare e crescere insieme queste famiglie così diverse, è la musica», è la conclusione cui giunge Nahmani, il direttore del campo, quando gli viene comunicato che un ministro avrebbe fatto loro visita proprio in occasione del Giorno dell’indipendenza. Nulla di meglio si può fare, pensa il direttore del campo, che costituire un’orchestra con tutte le persone capaci di suonare e cantare che vivono nelle baracche di asbesto, tentando di coordinare strumenti etnici talmente differenti da quelli classici da sembrare incompatibili.
L’impresa è talmente grande da aver bisogno di una forte personalità e viene perciò proposta al Professore, che incredibilmente accetta e chiede al secondo Isidor, pur così giovane, di fargli da assistente. Si tratta di comporre un’opera che tutti accettino come propria. Per farlo bisogna unire il villaggio e il direttore, il professore e il giovanissimo musicista ci riescono. Il professore decide di chiamare la composizione semplicemente “il concerto”. Il direttore tenta anche di unire all’impresa una vicina scuola, che però si rifiuta: per loro la musica è solo quella classica europea, che fa da accompagnamento alla vita ufficiale dello Stato e quel miscuglio era inconcepibile.
Tutto torna nella mente di Isidor, divenuto un grande direttore. Decide che la composizione del Professore sarà il clou del concerto che dirigerà di lì a pochi mesi e grazie ad una memoria musicale prodigiosa riesce a ricostruirla e fissarla nello spartito. La riproposizione sarà l’occasione per sciogliere alcuni nodi personali ricorrenti nella sua vita: la sua compagna è una giovane cantante d’opera di non elevatissimo talento, come la cantante romena gelosissima del figlio che in una notte d’estate lo volle nel suo letto e, se lo strappò all’innocenza, lo indusse per la prima volta a violare la regola di non eseguire Vivaldi, il compositore in cui eccelleva il fratello. Si adopera perché Marsel, la ragazza marocchina che allora amava e che abbandonò per la carriera artistica, sia presente alla nuova esecuzione. Questo cambierà la sua vita? La riconnetterà? In fondo la sua parabola è la stessa di Israele, ormai crogiolo di culture le più varie, luogo di integrazione che non nega particolarità e anche testimonianze estreme ma che, come dimostra l’attuale governo del Paese, è luogo di molte complessità in evoluzione.
“Il concerto” è una nuova, difficile e riuscita prova letteraria di Yigal Leykin, che ci accompagna a seguire la faticosa nascita di un nuovo Israele dopo gli esordi eroici. In fondo è la stessa strada che è aperta ora davanti a noi italiani.
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YIGAL LEYKIN
IL CONCERTO
BESA MUCI, 17 €
Yigal Leykin è nato a Leopoli, una città che nel corso della seconda guerra mondiale è passata dalla Polonia all’Ucraina, che allora faceva parte dell’URSS. A nove anni seguì i genitori in Polonia e a dodici in Israele. Ha studiato Medicina a Bologna ed è stato primario di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Pordenone, dove vive.
Nel 2015 ha pubblicato il suo primo romanzo, “Una vita qualunque”. —
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