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L’indagine

Focus della Cgia di Mestre: in regione l'imponibile evaso è del 9,2% (3,1 miliardi di euro)

I risultati di un’indagine dell’ufficio studi sulla base dei dati presentati nelle settimane scorse dal ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’Agenzia delle Entrate.

4 minuti di lettura

Abbiamo finalmente cancellato l’evasione fiscale? La domanda-provocazione l’ha lanciata l’Ufficio studi della CGIA che, sulla base dei dati presentati nelle settimane scorse dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEef e dall’Agenzia delle Entrate, ha ricordato che l’anno scorso a livello nazionale l’erario ha incassato, rispetto al 2021, 68,9 miliardi in più di entrate tributarie e contributive, ha recuperato 20,2 miliardi di evasione e ha “bloccato” 9,5 miliardi di frodi. Questo maggior gettito, pertanto, ammonta complessivamente a 98,6 miliardi di euro.

Un importo che ha una dimensione leggermente inferiore alla stima dell’evasione fiscale e contributiva presente in Italia che, secondo le stime, ammonterebbe attorno ai 100 miliardi di euro.

L’infedeltà fiscale è più diffusa al Sud. Friuli Venezia Giulia virtuoso

Sebbene gli ultimi dati disponibili dell’Istat siano riferiti al 2020, anno fortemente condizionato dall’emergenza pandemica, la percentuale dell’economia non osservata sul valore aggiunto regionale registrava le soglie più elevate nel Mezzogiorno.

Se in Sicilia si attestava al 16,8 per cento, in Puglia al 17 per cento, in Campania al 17,7 per cento e in Calabria che, con il 18,8 per cento, continua a essere la regione più a rischio evasione d’Italia. Le realtà più fedeli al fisco, invece, erano la Provincia Autonoma di Trento con il 9 per cento, la Lombardia con l’8,4 per cento e, la meno interessata da questo triste fenomeno, la Provincia Autonoma di Bolzano con un’incidenza dell’8,2 per cento.

La media nazionale si fermava all’11,6 per cento. Il Friuli Venezia Giulia , invece, si colloca nella parte più virtuosa della graduatoria. Nel 2020, registrava una percentuale di economia non osservata sul valore aggiunto regionale pari al 9,4 per cento che, in termini assoluti, corrispondeva ad un imponibile evaso pari a 3,1 miliardi di euro. Sempre avvalendosi della incidenza dell’economia non osservata sul valore aggiunto regionale, a livello nazionale solo la Lombardia (8,4 per cento) e il Trentino Alto Adige presentavano nel 2020 un tasso inferiore alla regione più a est del Paese.

Ecco chi continua a non pagare

Se teniamo conto degli effetti riconducibili alla fatturazione elettronica, allo split payment e all’attività di controllo praticata dal fisco attraverso l’incrocio dei dati presenti nelle proprie banche dati, rispetto a qualche anno fa gli evasori hanno la vita più dura. Certo, non tutti. Chi è completamente sconosciuto al fisco continua imperterrito a farla franca, così come le organizzazioni criminali di stampo mafioso che sempre con maggior dedizione seguitano a coltivare i propri traffici illegali. Poco “sensibili” alla fedeltà fiscale lo sono anche quelle multinazionali e i giganti del web che, in Italia, realizzano profitti miliardari, ma la stragrande maggioranza delle imposte le versano nei paesi a elevata fiscalità di vantaggio.

La riforma fiscale

In attesa di poter disporre di ulteriori informazioni sul testo approvato giovedì scorso dal governo Meloni, per l’Ufficio studi della CGIA una riforma fiscale che abbia l’ambizione di definirsi tale deve, innanzitutto, indicare preventivamente quanto costa e dove si recuperano le coperture, dopodiché ha il compito di conseguire, in tempi ragionevolmente brevi, almeno altri tre punti: 1. la riduzione del carico fiscale a famiglie e imprese; 2. la semplificazione del rapporto tra il fisco e il contribuente; 3. la riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale.

Una provocazione con un fondo di verità

Tornando alla domanda iniziale, possiamo pertanto affermare che abbiamo azzerato l’evasione? Certamente no, sebbene abbiamo imboccato la strada giusta per la sua progressiva riduzione. Infatti, una quota preponderante dei 68,9 miliardi incassati in più sono riconducibili al buon andamento dell’economia verificatasi l’anno scorso che include un importo - sicuramente contenuto ma ogni anno in costante aumento - ascrivibile agli effetti della compliance fiscale. Dunque, possiamo dire che un fondo di verità c’è. Il mancato raggiungimento di questi obbiettivi costituisce un serio pericolo che la stessa sia destinata a fallire o comunque non in grado di dare una seria risposta alle tante istanze dei contribuenti che da tempo chiedono un fisco più equo e meno complicato.

Lo sforzo fiscale delle nostre imprese è al top

Le imprese italiane sono tra le più tartassate d’Europa. Nel confronto con i principali Paesi UE, purtroppo, la percentuale del gettito fiscale riconducibile alle aziende italiane sul totale nazionale è nettamente superiore, ad esempio, a quella tedesca, francese e spagnola. Se nel 2020 da noi ha raggiunto il 13,5 per cento (garantendo un gettito di 94,3 miliardi di euro) in Germania era al 10,7 per cento (144, 8 miliardi di imposte versate), in Francia al 10,3 per cento (108,4 miliardi versati) e in Spagna al 10,1 per cento (41,7 miliardi di gettito). Rispetto alla media europea scontiamo oltre 2 punti percentuali in più.

Un ulteriore elemento che conferma l’elevato livello di tassazione sulle nostre imprese emerge dal confronto delle principali aliquote che gravano sul reddito imponibile delle società. Se in Italia si attesta al 27,9 per cento, tra i nostri principali competitor scorgiamo che in Francia è al 25,7 per cento e in Spagna al 25 per cento. Tra i big solo la Germania, pari al 29,8 per cento, sconta un livello superiore al nostro. Rispetto alla media europea, in Italia l’aliquota è superiore di ben 6,7 punti. 

La pressione fiscale nel 2022 ha toccato il livello record

Come abbiamo richiamato più sopra, uno degli obbiettivi principali di una seria rivisitazione del nostro sistema di tassazione è quello di alleggerirne il peso sui contribuenti.

Nel 2022, la pressione fiscale in Italia, data dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil, ha raggiunto il 43,5 per cento; un livello mai toccato in precedenza. Il record storico raggiunto l’anno scorso, comunque, non è riconducibile ad un aumento della tassazione su famiglie e imprese, ma dal combinato disposto di tre aspetti congiunturali distinti. Il primo da un forte aumento dell’inflazione, che ha fatto salire le imposte indirette; il secondo dal miglioramento economico e occupazionale avvenuto, in particolar modo, nella prima parte dell’anno, che ha favorito la crescita delle imposte dirette e il terzo dall’introduzione nel biennio 2020-2021 di molte proroghe e sospensioni dei versamenti tributari, agevolazioni che sono state cancellate per il 2022.

Oltre a queste tre specificità, va altresì considerato che a partire da marzo 2022 le famiglie italiane percepiscono l’assegno unico, misura che ha sostituito le “vecchie” detrazioni per i figli a carico. Questa novità (a parità di condizioni) ha delle evidenti implicazioni sul calcolo della pressione fiscale. Se le detrazioni riducevano l’Irpef da versare al fisco, la loro abolizione ha incrementato il gettito fiscale complessivo annuo di circa 8,2 miliardi di euro. Ricordiamo che, ora, le risorse per erogare l’assegno unico vengono contabilizzate nel bilancio statale come uscite.

In termini assoluti, infine, segnaliamo che secondo i dati resi noti nei giorni scorsi dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (gennaio-dicembre 2022), le entrate tributarie e contributive sono aumentate, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, complessivamente di 68,9 miliardi di euro (+9,2 per cento). Di queste, le entrate tributarie sono aumentate di 53,7 miliardi (+10,5 per cento) e le contributive di 15,7 miliardi (+6,4 per cento).

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