di PAOLO MOSANGHINI
Il giovane e l’anziano, i “bocia” e i “veci”, storie e vissuti diversi, e per nulla al mondo vi rinuncerebbero. Ogni anno a maggio gli alpini partono per l’Adunata. E l’Adunata a Udine, in Friuli, in terra alpina, è ancora più forte e più sentita. Le penne nere qui sono state solidarietà e forza quando ne abbiamo avuto necessità, sono concretezza, dignità e orgoglio. Sono state sentinelle dei confini prima che la geopolitica mutasse.
La sensibilità civica degli alpini che tornano in questa città dopo 27 anni – per la quinta volta – e dopo l’Adunata di Pordenone di nove anni fa, non si racconta, si percepisce, si intuisce, si diffonde, si fa partecipazione. È un tacito accordo tra la società civile e le migliaia di penne nere. È un patto che si rinnova.
Come scrive l’alpino e scrittore Giulio Bedeschi: «Non è cosa da poco, a questo mondo. Ecco il senso, il gusto dell’Adunata, vale la pena di accorrere, di ritrovarsi. È un gigantesco atto d’amore collettivo, alla buona s’intende, senza complicazioni, da alpini insomma. Ma non giudicateli dall’apparenza, allegri e burloni come sono; quelli camminano in centomila, ma potete moltiplicarli a volontà, non finiscono più perché si portan dietro i loro morti, dispongono perfino di un loro paradiso, il paradiso di Cantore».
A tutti voi, a noi tutti, buona Adunata.
di GIACOMINA PELLIZZARI
«Mandi fradis», arrivederci fratelli. Nel 1976, dopo il terremoto del 6 maggio, poco prima delle nuove scosse di settembre, i friulani salutano così gli alpini in congedo. Alla fine dell’estate, le Penne nere sono ancora al fianco dei terremotati, li aiutano a riparare le case lesionate e nessuno immagina che il 15 settembre nuove scosse torneranno a colpire il Friuli, costringendo i terremotati all’esodo nelle località balneari.
La sera del 6 maggio i militari in armi della Brigata Julia prestano i primi soccorsi scavando a mani nude tra gli edifici crollati. Nei mesi successivi diventeranno determinanti per la realizzazione dei prefabbricati, mentre l’Associazione nazionale alpini (Ana), nel concludere l’esperienza dei primi cantieri, assicurerà il suo ritorno per la costruzione di case per anziani e scuole, finanziate dagli Usa. Gli alpini in congedo e dell’esercito scrivono così una pagina di storia umana che legherà per sempre queste genti alle Penne nere.
In quelle ore anche l’esercito conta le sue vittime. Nella caserma Goi-Pantanali di Gemona hanno perso la vita 29 alpini della Brigata Julia, facevano parte dei gruppi dell’artiglieria da montagna “Udine” e “Conegliano”, della compagnia Genio pionieri e del secondo reparto logistico leggero “Julia”.
La situazione è drammatica pure nelle caserme del battaglione “Tolmezzo” a Venzone e della 12° compagnia a
Moggio Udinese, ma anche qui gli alpini non smettono di scavare. Alcune squadre soccorrono i civili, altre
allestiscono tendopoli e cucine da campo, distribuiscono viveri e generi di prima necessità, recuperano masserizie
seguendo i mezzi del Genio militare impegnati nella riapertura delle strade.
Nei 137 comuni colpiti, gli elenchi delle vittime si allungano di ora in ora, arriveranno a mille morti e 2.607 feriti. Il bilancio conterà anche 100 mila senza tetto, 40 mila sfollati, 18 mila edifici distrutti e 75 mila danneggiati.
Il 7 maggio l’onorevole Giuseppe Zamberletti viene nominato commissario straordinario di Governo con quattro sub-commissari: i prefetti di Udine e Pordenone Domenico Spaziante e Mario Arduini, il generale Mario Rossi, comandante della Divisione Mantova, e l’ingegner Sergio Giomi, comandante dei Vigili del fuoco. Saranno loro a gestire l’emergenza, mentre gli alpini hanno già avviato una catena umanitaria senza confini. Lo slancio di altruismo delle Penne nere colpisce il vice presidente degli Usa, Nelson Rockfeller, il quale, attraverso il Congresso statunitense, stanzia 25 milioni di dollari e ne affida 8,5 all’Ana per la costruzione di centri anziani e scuole.
Gli alpini in congedo non si limitano agli aiuti della prima ora, comprendono la disperazione della gente e mettono a disposizione, gratuitamente, più di tre mesi del loro tempo. Lo fanno rispondendo alla chiamata del loro presidente nazionale, Franco Bertagnolli, convinto che per ricordare i morti sia necessario aiutare i vivi. Il 7 maggio Bertagnolli è in Friuli, contatta le autorità e i sindaci, ai quali propone un piano di uomini e mezzi per riparare le case lesionate, finanziato in parte dalle raccolte fondi organizzate spontaneamente dagli alpini.
La catena di solidarietà denominata Gli alpini ai fradis si consolida e nelle prime settimane di giugno 1976 aprono 11 cantieri di lavoro a Magnano in Riviera, Attimis, Buja, Gemona, Villa Santina, Majano, Moggio Udinese, Osoppo, Cavazzo Carnico, Vedronza e Pinzano.
«Il nostro impegno immediato e futuro si chiama Friuli» sottolinea Bertagnolli nel suo discorso pubblicato sulle pagine de L’Alpino. In ogni cantiere si alternano gruppi composti da un centinaio di Penne nere in congedo, dai 20 agli 86 anni, senza gradi e senza titoli, riconoscibili dall’immancabile cappello e dal distintivo Ana.
Per dirla con le parole dell’allora direttore del Messaggero Veneto, Vittorino Meloni, «è un’altra adunata alpina per ricostruire il Friuli»
Il motto è Cun te par te fradi furlan (Con te per te fratello friulano). La risposta dei friulani è altrettanto sentita: «Cari alpini - recita il cartello del cantiere 4, aperto il 3 giugno 1976 - Gemona terra della “Julia” vi saluta e vi ringrazia per l’aiuto che darete alla sua gente».
Nei cantieri lavorano circa 1.300 alpini al giorno con punte di 2.300, la gente e i sindaci credono negli ambasciatori
di pace al punto da volerli trattenere. Nel 1976 gli alpini e i terremotati si uniscono in un abbraccio fraterno dopo aver assistito allo sgretolamento dello slogan dalle tende alle case.
Le Penne nere diventano un punto di riferimento nel momento in cui l’installazione dei prefabbricati registra
ritardi sempre più marcati, il freddo e la piogge rendono invivibili le tendopoli e i Comitati protestano.
Il 4 settembre, nel piazzale della caserma Goi-Pantanali, davanti al presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, Bertagnolli fa il bilancio dell’attività e ricorda che ancora una volta «la favola degli alpini si è realizzata».
In tre mesi le Penne nere in congedo hanno riparato 3.280 case, ristrutturato 76 edifici, costruito 50 alloggi e sistemato 63 mila copertura.
È il risultato di 108 mila giornate di lavoro, pari a 972 mila ore lavorate. È, secondo Bertagnolli, la testimonianza di un nuovo significato d’amicizia sorto fra persone sconosciute. Con questo spirito gli alpini si apprestano ad ammainare la bandiera, ma l’11 settembre il terremoto irrompe sulla cerimonia di saluto.
«Porterò nel cuore il carattere duro e caparbio di questa gente» assicura Bertagnolli, il presidente dell’Ana parla di esperienza unica, di ricostruzione morale, sa di aver scritto «una pagina di solidarietà nella storia dell’Associazione che difficilmente verrà cancellata». Il suo è un arrivederci perché l’Ana tornerà a costruire, tra il 1977 e il 1982, i centri residenziali per anziani a Buja, Magnano in Riviera, Majano, Osoppo, Pordenone, San Daniele del Friuli e Villa Santina e gli istituti scolastici, finanziati dagli americani, ad Aviano, Buja, Cividale, Faedis, Gemona, Majano, Maniago, Osoppo, Sacile, San Daniele del Friuli, San Pietro al Natisone, Spilimbergo e Travesio. Nell’autunno del 1977, l’associazione darà il via all’operazione Friuli 1977 con la costruzione di case a Venzone, Villa Santina, Tramonti, Pielungo, Clauzetto e la realizzazione di interventi idrogeologici in diversi comuni. Da allora il grazie continua a riecheggiare: Il Friûl al ringrazie e nol dismentee “Il Friuli ringrazia e non dimentica” scrive qualcuno sui muri.
Anche il presidente della Regione, Antonio Comelli, parla di «miracolo» realizzato, lo fa pure l’arcivescovo di Udine, monsignor Alfredo Battisti: «La serietà e l’impegno del vostro lavoro sono stati compresi dalla gente friulana che ha saputo coglierne lo spirito e ha corrisposto con la simpatia e la riconoscenza». Determinante è stato anche il ruolo svolto dagli alpini in armi nell’inverno 1976/77, quando circa 500 militari dei Battaglioni “Orta” e “Iseo”, realizzano per la struttura commissariale i villaggi prefabbricati. Il 18 ottobre l’Iseo arriva a Villa Santina e apre i cantieri a Paluzza, Amaro, Enemonzo e Preone, l’Orta si insedia a Venzone. Il loro impegno lo ricorderà, qualche decennio dopo, Zamberletti: «In montagna era difficilissimo lavorare in Carnia ho visto scongelare con il lanciafiamme il terreno per fare la gettata di cemento». I tempi vengono rispettati, il 28 marzo il Battaglione "Iseo" rientra a Bolzano e il 2 dicembre riceverà la medaglia di bronzo al valore dell’Esercito, mentre all’Ana e alla Brigata alpina Julia saranno assegnate le medaglie d’oro al merito e al valor civile.
OPERA DI GIANNI BORTA, CREATA PER CELEBRARE L'ADUNATA DEGLI ALPINI
di VALERIO MARCHI
Eccoci alla 94ª adunata nazionale dell’Associazione Nazionale Alpini (Ana), la quinta ospitata da Udine. L’Associazione nacque a Milano nel 1919, lo stesso anno in cui uscì a Udine per la prima volta il quindicinale “L’Alpino”, la cui redazione fu poi trasferita proprio a Milano. Il capoluogo friulano ha dunque dato vita al giornale che è organo ufficiale dell’Ana, stampato attualmente in 355 mila copie mensili.
La Sezione “Friulana” dell’Ana, come si chiamava allora, nacque nel settembre del 1920 e nel giugno del 1921, durante una solenne cerimonia sul colle del Castello, ricevette nelle mani di Teresa De Gasperi (madre di alpini morti per la patria e madre, idealmente, di tutti gli alpini) il nuovo simbolo della Sezione, ossia il gagliardetto ricamato dalle alunne della Scuola Normale Superiore: «Poche volte assistemmo a una festa così imponente e significativa e vedemmo sollevarsi da tutti gli animi un così pieno e universale entusiasmo», riferì la stampa udinese.
IL CONGRESSO DEGLI ALPINI SUL COLLE DEL CASTELLO DI UDINE IL 23 AGOSTO DEL 1925
Lo studioso di storia degli alpini in Friuli Paolo Montina ci ricorda, nel suo volume sui primi novant’anni
anni di vita della Sezione, che fin dalla nascita della stessa a Udine si erano costituiti i primi gruppi:
Paluzza nell’autunno del 1921, poi Tricesimo nel 1923, Savorgnano al Torre e Spilimbergo nel 1924, San Giovanni
di Manzano, Martignacco e Palmanova nel 1925, e così via.
Alla fine del 1930, in concomitanza con una grande adunata nazionale di tutti i battaglioni alpini che combatterono
nella Grande Guerra, nacquero i quattro Gruppi udinesi, indicati (al pari di oggi) con i nomi dei punti cardinali.
Nell’agosto del 1925, la sesta Adunata nazionale si tenne a Udine. «Ogni convegno alpino ha in sé una corrente di continuità.
Sono le tappe di un’unica strada, percorsa con identica fede, con uguale spirito fraterno», leggiamo ancora sulla stampa udinese
dell’epoca.
Nell’occasione si raggiunse anche il Monte Nero per inaugurare un monumento in ricordo di Alberto Picco
(medaglia d’argento al valor militare) e dei Battaglioni “Susa” e “Pinerolo”.
Verso il 1930 l’Associazione ebbe dal Comune una sede di prestigio, denominata “la Baita”
e ubicata sotto la Loggia di San Giovanni, accanto al Tempietto consacrato ai caduti in guerra.
Nel 1947, dopo le traversie e le tragedie del Ventennio e della Seconda guerra mondiale (durante la quale non si tennero adunanze) la prima brigata alpina ricostituita fu la Julia, mentre l’Ana rinacque con un programma di solidarietà nazionale e di impegno nella ricostruzione post-bellica che si è tradotto, nei decenni, in una formidabile capacità di aggregazione e mobilitazione.
Nel 1962 (2-3 giugno) la Sezione di Udine organizzò un’adunata locale per ricordare le gesta della Julia: l’impegno fu severo, il successo enorme. Nel 1966 la stessa Sezione concepì un “Notiziario” che due anni dopo si trasformò nel trimestrale “Alpin jò mame!”, tuttora attivo. Il 1968 è anche l’anno in cui la sede fu trasferita in via Sant’Agostino, dove rimase fino al 2005, quando la si spostò in viale Trieste.
Si dovette aspettare il 1974, 25° anniversario della Brigata Alpina Julia, per vedere a Udine un’altra adunata nazionale
(la 47ª, detta «la grande adunata», dal 4 al 6 maggio).
Già mesi prima gli alberghi della regione registrarono il tutto esaurito per la festa, che neppure il maltempo
poté rovinare. Secondo tradizione, la Sezione Ana della città ospitante sfilò per ultima e al suo passaggio
– come ricordano Stefano Gambarotto e Enzo Raffaelli in un loro libro – «sembrava che crollasse anche il colle
del Castello per gli applausi della gente».
Le successive, affollatissime adunate nazionali svoltesi a Udine, furono la 56ª, nel 1983 (6-8 maggio – prevista “per cantiere”, cioè sfilando secondo i gemellaggi tra i comuni terremotati e le Sezioni Ana giunte in loro soccorso nel terremoto in Friuli del 1976) e, un ventennio dopo il terremoto, la 69ª, nel 1996 (18-19 maggio – nell’occasione il sindaco Barazza conferì la cittadinanza alla Brigata Alpina Julia).
Circa quella del 1983, Paolo Montina ha scritto, in un suo lavoro del 2011: «La compattezza e la compostezza del “veci e dei bocia” della Sezione di Udine hanno chiuso degnamente la sfilata mentre “gli altri” portavano nel cuore l’amicizia della popolazione dei cantieri che erano stati aperti nei paesi dopo il triste avvento del terremoto, nei quali erano ritornati da “turisti” nei giorni precedenti l’adunata dove erano stati accolti con indefinibili abbracci e festeggiamenti».
Sono un messaggio caro agli alpini. Spesso contengono richiami alle penne nere o alla città che ospita l’evento. Ma soprattutto il motto è il filo rosso dell’adunata, ripetuto, cantato, celebrato dagli alpini delle varie sezioni che, armati di spirito creativo, lo sviluppano e lo amplificano, proponendo gli striscioni che vengono mostrati in sfilata, la domenica
di ENRI LISETTO
Quella di Udine sarà «una adunata stupenda perché qui gli alpini sono di casa, ci sono in ogni famiglia. Si consolideranno relazioni, altre si costruiranno e dureranno per sempre. Qui, in Friuli, c’è tanta nostra storia, qui si racconta con i fatti, quotidianamente, quello che siamo». Parola del presidente nazionale dell’Ana, Sebastiano Favero.
«L’attesa è grande per questo motivo e perché Udine è città alpina per vocazione e quindi sicuramente saremo tanti, soprattutto coloro che hanno fatto il servizio di leva in Friuli. Dalle nostre informazioni, in quei giorni tutto il Friuli avrà alpini presenti perché veramente sarà un ritorno e un’occasione per trovarci, come sempre».
«Registriamo molte più prenotazioni del previsto, soprattutto dall’Argentina, ma non solo. L’adunata è anche l’occasione per tornare a casa, per tornare giovani nelle proprie terre d’origine. È un aspetto a me caro e particolare: dai 3 agli 8 anni vissi in Australia e so cosa vuol dire».
«Da un lato rinsaldare, ritrovandoci, la memoria perché uno dei primi momenti è il ricordo di chi “è andato avanti”, come diciamo noi, e quindi ribadire i nostri valori, tra i quali la patria e la bandiera, elementi fondamentali. L’identità di un popolo è garantita dal poter guardare e confrontarsi con altri in modo costruttivo. Adunata vuol dire alzabandiera, il momento religioso che facciamo sempre per ribadire, come diciamo nella nostra preghiera, la nostra millenaria civiltà cristiana. E, caratteristico degli alpini e di chi usa frequentare la montagna, è il valore fondamentale dello stare insieme: per conquistare qualcosa bisogna saperlo fare in cordata e quindi essere capaci di condividere e questo è il segno fondamentale della grande sfilata. Tutto questo negli anni ci ha portati ad essere un’associazione molto solidale».
«Il tema di questa adunata è stato pensato per ribadire uno dei nostri valori fondanti: la base di un vivere civile sta nella capacità di costruire e di trasmettere attraverso la famiglia i valori fondamentali».
«Non è per l’adunata, ma un contributo che l’associazione dà sul tema delle molestie, rivolto a tutti e per tutti. In Italia c’è un problema molestie? Vogliamo dire la nostra. E se qualcuno sbaglia, anche nella nostra associazione, è giusto che ne risponda. Ho visto tanti articoli che mettevano in relazione questo progetto all’adunata, ma non è così, tanto è vero che abbiamo costruito un sito specifico. Sul tema dei valori noi ci siamo. Nessuno dica che non affrontiamo i problemi, ricordando che la responsabilità civile e penale è del singolo».
«Quella del terremoto è stata una grande tragedia dalla quale si ha avuto la grande capacità di rispondere in senso positivo. Gli alpini, per la prima volta – e questa è stata una grande intuizione dell’allora consiglio direttivo nazionale e del presidente Franco Bertagnolli – sono intervenuti non solo per l’intervento di emergenza, ma anche con undici campi di lavoro per aiutare la gente locale, assieme ai friulani si è ricostruito. Ricordo che in quella occasione il parlamento americano stanziò 27 miliardi di lire che volle fossero gestiti direttamente dall’Associazione nazionale alpini. Fu un riconoscimento di onestà, fiducia e fare. La strategia operativa fu di non intervenire nell’emergenza solo con squadre speciali, ma di restare lì, contribuendo insieme alla popolazione e alla società a dare una mano alla ricostruzione, sempre con volontari e fondi raccolti dalla nostra associazione. Mi permetta una puntualizzazione».
«Per noi quando si parla di volontariato vuol dire che si opera e si lavora per gli altri gratuitamente. Oggi purtroppo nella terminologia italiana - e anche nel terzo settore - diventano volontari coloro che non lo sono, definiti volontari perché hanno scelto quel tipo di attività e non perché non vengono pagati e questa interpretazione non la condividiamo».
Tradizioni, ricordi dei nonni, qualche simbolo che ha attraversato i decenni ed è arrivato alla generazione Z. Ma quali sono le immagini note agli alpini che fanno parte dell’immaginario collettivo anche dei più giovani? Le redazioni del Messaggero Veneto Scuola di Udine e di Pordenone hanno stilato (e disegnato) un decalogo che parla proprio a tutti (Passa sull'immagine per leggere la descrizione dei simboli)
«Si parlava di memoria e identità di un popolo: senza acredine, ma con forza, riteniamo fondata la preoccupazione di disperdere questo patrimonio sul quale si basa il nostro Paese. Il Parlamento e il Governo italiano quando parlano di future generazioni dovrebbero capire e comprendere che una delle cose che vanno insegnate ai giovani di oggi, come a quelli di ieri, è saper dare alla propria società, quindi agli altri, gratuitamente, un tempo e un periodo della propria vita. Questo farà comprendere ai ragazzi che alla fine è molto più gratificante dare che ricevere. Per questo insistiamo sul ritorno di un servizio obbligatorio per tutti. Richiamando l’articolo 52 della Costituzione italiana, essendo la nostra un’associazione d’arma riteniamo che la scelta principale dovrebbe ricadere su un servizio di tipo militare, comunque su un servizio gratuito da parte di tutti.
Lo stesso codice del terzo settore ribadisce il concetto di un servizio universale a favore della patria. In quel servizio universale può trovare spazio la scelta del giovane verso una formazione più militare o più civile. Da decenni proponiamo i campi scuola dell’Ana per i ragazzi dagli 8 ai 14 anni, da due anche per i ragazzi dai 16 ai 25: quindici giorni non sono tanti, ma al di là far conoscere e trasmettere i nostri valori, la memoria, la storia dell’associazione e le sue motivazioni, proponiamo rapidi corsi di formazione in tutte le specialità in cui operiamo: dalla classica arrampicata in montagna all'antincendio boschivo, la prima formazione di assistenza sanitaria e una serie di cose che fanno capire al ragazzo quale potrebbe essere la sua propensione. Oggi a scuola molto, ma molto spesso, insegna il virtuale. I ragazzi sono bravissimi a usare gli strumenti elettronici, ma fanno fatica, perché nessuno glielo insegna, a usare le mani. Non è un’operazione svilente, ma quando si vuole aiutare gli altri occorre essere pronti a intervenire con efficienza ed efficacia, usando anche le mani. Non bastano intelligenza e praticità col pc. Vede, gli “angeli del fango” sono una bella invenzione, ma – e l’operazione nelle Marche a causa dell’ultima alluvione ce lo dimostra – nelle emergenze è necessario che intervengano squadre formate e capaci di essere autosufficienti, quindi personale capace di intervenire in tempo breve e con le attrezzature necessarie».
«Il nostro impegno è volto a sfruttare le leggi che ci sono – come in tema di riserva – e a spingere sul Parlamento perché si possa arrivare a quella forma di servizio obbligatorio che permetta a tanti giovani di poter fare parte, magari per un periodo cadenzato più breve, delle truppe alpine. Tra noi alpini in congedo e truppe alpine, comando e reggimenti, in questi anni si è creato un feeling totale. Riteniamo che si debba pensare seriamente a un servizio che possa favorire i giovani in questa direzione. Lo sanno bene i sindaci, tanto è vero che chiediamo anche a loro di essere con noi per coinvolgere in maniera forte i giovani, a partire dai campi scuola: se si vuole si può e, secondo me, si deve».
«Perché c’è una prevenzione culturale. Si pensa che parlare di militari voglia dire parlare di guerra, di un atteggiamento non positivo. Non è così. Il militare è certamente preparato a fare la guerra - e voglio ricordare che la Costituzione italiana parla di difesa e non di aggressione - ed è corretto e necessario: le vicende dell’Ucraina ce lo dimostrano ampiamente. Le Forze Armate vengono impiegate anche in casi di emergenza e le ultime, terremoto e Covid, lo hanno ampiamente dimostrato. Ritengo sia necessario un atteggiamento culturalmente diverso che valorizzi le capacità di ognuno, ma che impegni ciascuno al bisogno di rispondere “presente” come siamo abituati a fare noi alpini».
«Tre come i reparti in Friuli. Per noi la bandiera di guerra, che è quella italiana assegnata ad ogni reparto, è la memoria dello stesso reparto. Memoria, accanto alla cerimonia al monumento, di tutti coloro che non sono caduti, ma rimasti feriti, che non hanno combattuto, ma hanno prestato servizio e sono andati avanti: è il momento del loro ricordo e il riconoscimento dell’impegno da trasmettere a chi oggi e domani opera e opererà».
«È un segno di riconoscimento che fa piacere e gratifica quello che gli alpini hanno fatto, stanno facendo e faranno. Come si diceva, in Friuli il terremoto ha costituito il punto di partenza, ma gli alpini non si sono poi fermati e nemmeno oggi. In Ucraina, ad esempio, su richiesta del vescovo del Donbass stiamo procurando una cucina da campo e un’ambulanza. Recentemente abbiamo effettuato un sopralluogo in Mozambico perché ricorrono sono i trent’anni dell’operazione Albatros, che fu l’ultima fatta da militari di leva, che erano alpini, una missione di pacificazione delle due componenti in guerra».
«Dire ai friulani di non preoccuparsi mi pare superfluo: ci conoscono da sempre come da sempre convivono con gli alpini, a partire da ciascuna famiglia. Saranno giorni di serenità e di sana allegria, di capacità di stare insieme e condividere, di relazioni che cominceranno e proseguiranno per sempre, di altre che si consolidano. Sono sicuro che a Udine questo clima ci sarà».
«Partito da Gemona del Friuli per Viterbo alla scuola centrale VAM il 20 ottobre del 1975 in aviazione. Poi trasferimento a Vigna di Valle, sul lago di Bracciano, in attesa di essere mandato a Rivolto nella casa delle Frecce Tricolori. Ma arrivò il 6 maggio del ‘76 mise che fine alla mia naja. A chi era residente nelle zone disastrate venne dato un congedo anticipato»
Ennio Rizzi, 67 anni, Gemona del Friuli
«Ho fatto la naja, dal 1996 al 1997,al 3 Rgt. Art. da Montagna. Un anno indimenticabile, grandi amici che a distanza di anni, se possibile, si incontrano ancora. Se mi chiedessero di rifarlo, non esiterei un minuto. E poi ad ogni raduno o adunata ci si sente come una famiglia. Alpini un anno, fratelli per una vita»
Silvio Casasola, 45 anni, Tolmezzo
«Dieci mesi bellissimi, inizialmente duri, poi passati tra le amate montagne. Un’esperienza bellissima porterò sempre con me»
Michele Giordani, 46 anni, Udine
«Mio papà (classe 1927 alpino negli anni subito dopo la guerra) mi raccontava sempre del viaggio a Roma per il Car e di un suo compagno di naja. Si chiamava Vittorio, da Montecchio Maggiore (Vicenza). Con lui condivise giornate splendide e in dimenticabili. Ora mio papà non c’è più da anni, chissà se si sono ritrovati lassù o se magari il suo amico è ancora fra noi e si ricorda di quel friulano. Riposate in pace alpini. Tutti voi siete andati avanti, sì, ma siete anche rimasti qui nel cuore di chi vi ha amati. E di chi vi ama ancora.»
Barbara Vidoni, 59 anni, Artegna
«Alpino dell'ottavo battaglione Tolmezzo,di stanza nella caserma di Venzone negli anni 1967-1968. Dopo avere passate diverse avventure, ricordo una in particolare, al campo invernale. Era il febbraio del 1968, alle 5 del mattino dopo circa un’ora dalla partenza dallo stavolo dove avevamo la notte, ci trovammo davanti a un corso d'acqua ingrossato per la pioggia e la neve di quel periodo. Dovevamo per forza passare di lì. L’acqua ci arrivava alla gola. Abbiamo proseguito la marcia che si è conclusa alle 5 del pomeriggio. Dodici ore dopo, tutti inzuppati, sotto neve e pioggia. Ma non ci venne nemmeno un raffreddore.»
Livio Zamparutti, 61 anni, Majano
«Facevo parte del gruppo sportivo della Julia nel 1981, giorni indimenticabili per tutti i ricordi giovanili. Quell’anno mi sono sposato e ancora ne parlo con lei.»
Livio Zamparutti, 61 anni, Majano
«Io alpino già da bambino»
Mario Cabrini, 60 anni, Ponte Nossa (Bergamo)
«Primo scaglione 1974, a L'aquila. Eravamo al corso di arciere a Sesto Fiorentino (i mesi erano giugno, luglio e agosto) e poi di nuovo a L'aquila con il colonnello Marinoni. Mi ricordo quel capodanno in caserma con i miei commilitoni, uno dei quali aveva portato da casa una bottiglia di ottimo Picolit.»
Carlo Secolin, 69 anni, Villesse
«Battaglione Cividale a Chiusaforte, 20esima Compagnia. La Valanga scal. 9/88. Eravamo tutti diciottenni
spavaldi che arrivavano da ogni parte del Triveneto. E una volta congedati, siamo rimasti tutti amici affiatati.
Ancora oggi, puntualmente e ogni anno, ci si ritrova per un pranzo dove ricordano le varie esperienze, tra
cui il mese a Pantelleria. Oltre al ritrovo ad ogni adunata.»
Gianluca Vignando, 53 anni, Talmassons
«Ero di guardia alla polveriera di Pietra Tagliata e ricordo quando, in carenza di scope per la pulizia
di cortile della caserma Bartolotti, e senza le lettiere per muli, il Tenente promise un permesso a Natale
per chi realizzava delle scope. Ecco, forte degli insegnamenti di mio padre, nelle ore libere andai a
raccogliere fasci di "Sanguinella" e con l'aiuto di tre commilitoni realizzammo una ventina delle
suddette scope, ottenendo il prezioso permesso.»
Giovanni Pivetta, 90 anni, Azzano Decimo
«Ho fatto il Car a Codroipo poi 3 mesi a Piacenza poi a Udine caserma Osoppo corso caporale a Tolmezzo poi caporal maggiore ma mi è rimasto un bel ricordo del campo in Abruzzo: lavarsi nel torrente con l'acqua gelata ma a 19 anni non si sente il freddo.» Flavio Serino, 62, Romans d’Isonzo
«Codroipo, 8/1995: "Battaglione Alpini 'Vicenza'": un anno strano in cui si visse la dismissione della
nostra caserma in primis e la fine della "naja di 12 mesi". Fu un periodo particolare, in cui il
servizio militare sembrava perdere importanza: lo vivevamo come "parcheggiati", specialmente negli
ultimi mesi in cui non arrivavano più reclute. Posso dire, però, che se una cosa rimase intatta
nonostante tutto fu lo spirito di appartenenza al corpo, magari non capito da tutti durante il periodo
del servizio militare, ma certamente compreso appieno negli anni successivi, quando, ritrovandosi,
anche quelli più reticenti erano alla fine orgogliosi di dire "Alpin jò mame"!»
Alex Michieli, 49 anni, Udine
«Sono un alpino in trasferta: vivo a Udine ma provengo da Torino. Ho prestato servizio con la Brigata Taurinense.»
Domenico Bertoldo, 63 anni, Udine
«Ho un bellissimo ricordo di quegli anni. Erano il 1969, 1970, 1971. Io ero un soldato della 34 batteria
con il capitano Manlio Pomare. Lui ci portava spesso in marcia e ai campi. Era un vero militare da cui ho
imparato tanto e senza averci mai scambiato una parola. Quando ho visto il suo necrologio sul Messaggero
Veneto del 2008 ho pianto. Tante volte l’abbiamo ricordato con un suo amico d'infanzia di Prato Carnico
venuto ad abitare a Nimis.»
Massimo Fabretti, 73 anni, Nimis
«Sul calendario ho segnato la data del 16 marzo 1993, trent’anni fa, il primo giorno di naja. Tra i ricordi
a me più cari ci sono la missione in Mozambico, il primo lancio col paracadute, i campi estivi ed invernali,
i corsi sci e roccia ma soprattutto le amicizie, l'esperienza di misurarsi con eserciti di altri paesi.
Indimenticabile.»
Emanuele Feruglio, 48 anni, Tarcento
«Verso la fine della naja (scaglione 2/84) venni scelto come "modello" per il manuale degli Alpini, che
veniva consegnato al Car a tutte le reclute. Conservo ancora una copia.»
Stefano Piccolo, 59 anni, Zoppola
di ALESSANDRO CESARE
C’è una cosa che unisce veci e bocia: l’attaccamento allo spirito alpino e l’orgoglio di aver indossato il cappello
con la penna nera. Sentimenti che sono emersi con forza nella doppia intervista al più giovane e al più anziano del
gruppo Ana di Udine Centro.
Si tratta di Francesco Ottogalli, classe 1979, e di Pietro Dini, classe 1925. Il primo, pronto a cimentarsi con
la sua prima Adunata nazionale, ricorda con affetto i mesi di naja. Il secondo, reduce della Seconda Guerra Mondiale,
non vede l'ora di rivivere per l’ennesima volta l’atmosfera e l'entusiasmo che circondano i raduni alpini.
La “V” rovesciata sul simbolo, caratteristica principale dello stemma araldico di Udine, si fonde con la penna del cappello alpino. E sui manifesti l’Agnul dal Friûl che svetta dal castello. L’Adunata numero 94, in programma dall’11 al 14 maggio, è ricca di richiami al forte legame che unisce gli alpini al Friuli. Udine è stata preferita a Brescia, Matera e Alessandria.
Sono attese in città più di 500 mila persone e già da settimane si registra il tutto esaurito in alberghi, B&B e appartamenti in affitto. Per far fronte alla mole di informazioni e richieste, l’Ana ha creato anche un’applicazione, da scaricare sul cellulare, per controllare i parcheggi e con le indicazioni per i principali luoghi di interesse.
Ma, forti dello spirito di adattamento, gli alpini potranno contare anche sugli spazi per caravan, tende e negli alloggi condivisi. Il tutto in attesa di sfilare per le vie del centro di Udine. Ecco allora come muoversi per la città, quali sono i punti di ritrovo, le strade chiuse e gli appuntamenti da non perdere
Dalle zone rosse ai punti di ritrovo: ecco le vie coinvolte e le restrizioni per la sfilata. Tutte le strade chiuse
Progetto editoriale Paolo Mosanghini. Coordinamento editoriale Daniela Larocca e Giacomina Pellizzari.
Grafica e sviluppo Raffaele Aloia, Claudio Campanella (Accenture MediaTech) ed Eva Csuthi (Accenture MediaTech). Montaggio video Valeria D'Angelo (Accenture MediaTech). Supervisione editoriale Annalisa D'Aprile