Dalla scuola di vita col Toro all’Europa in bianconero: la sfida del cuore per Sottil
Domenica all’ora di pranzo c’è Udinese-Torino, un appuntamento speciale per il tecnico nato a Venaria Reale che in passato ha confessato: «Per me è una partita emozionante»
Pietro Oleotto
«Il Toro è stata la mia palestra di vita, grazie a lui sono cresciuto; a Udine, invece, ho toccato probabilmente l’apice della mia carriera, nei quattro anni di militanza. È una partita emozionante per me». Andrea Sottil – nato il 4 gennaio 1974 a Venaria Reale, là dove i Savoia avevano la Reggia, – queste parole le ha pronunciate nell’ormai lontano 2015, prima di Udinese-Torino, poi finita con un 3-2 firmato anche da due “icone” dell’Udinese europea, Totò Di Natale e, dall’altra parte, Fabio Quagliarella, allora punta di diamante dei granata. In quel pensiero consegnato alle frequenze della “localissima” Radio Flash 97.6 tutti i sentimenti che agitano la vigilia della sfida di domenica per un allenatore cresciuto, come uomo e calciatore, al Filadelfia, là dove decine e decine di ragazzini sono stati scelti per arrivare in A dall’esule zaratino Sergio Vatta, un grande del nostro calcio rimasto a lavorare spesso nell’ombra, con i giovani, e scomparso nel 2020.
Sottil ha vestito la maglia granata per dieci anni. Dirà in un’altra intervista sul proprio passato: «Al Toro mi legano tantissimi ricordi. I derby Primavera con la Juve, le partite decisive per i campionati. Nel 1992 vincemmo lo scudetto con una signora squadra, c’erano giocatori come Cois, Vieri e Fuser, in panchina Serino Rampanti». Rosario detto Serino, uno che sulle figurine Panini c’era finito molti anni prima giocando sull’ala destra in prima squadra per più di cento partite a cavallo tra gli Anni 60 e 70 grazie agli insegnamenti di Oberdan Ussello, altro scopritore di talenti “marchiati” Torino, da Agroppi e Zaccarelli a Pulici e Dossena, visti anche con la maglia dell’Udinese. «Era un difensore centrale attento, martellante: aveva la cattiveria giusta per farcela, per arrivare più in alto rispetto ad altri», ha raccontato recentemente a Tuttosport il suo allenatore nelle giovanili granata. «Da tecnico l’ho seguito anche nelle stagioni passate e non avrei immaginato che sarebbe arrivato a questi livelli. Sicuramente lo ha aiutato vedere il campo da difensore centrale. Questo gli ha dato una visione ampia del calcio a livello tattico e così si è portato dietro le sue caratteristiche da giocatore anche nel modo di allenare. Non è un caso che la prima cosa che ha fatto all’Udinese è stata quella di blindare la retroguardia», ha aggiunto Rampanti che nel frattempo ha intrapreso la carriera politica di amministratore al Comune di Moncalieri, nella cintura del capoluogo piemontese.
Insomma, c’è un filo conduttore che lega il presente al passato, all’anima del Toro dentro Andrea Sottil capace di arrivare a sua volta in serie A grazie a Emiliano Mondonico che lo chiamò a far parte della squadra che nel 1993 vinse la Coppa Italia: in quella rosa la voce di SkySport Luca Marchegiani come portiere, il mastino Pasquale Bruno in difesa, l’italo-belga Vincenzino Scifo a centrocampo, Aguilera e Casagrande davanti per fare gol con in panchina un Paolo Poggi che poi passerà dell'Udinese ed esploderà tre stagioni dopo grazie alle intuizioni di Alberto Zaccheroni e il suo tridente: Poggi, Bierhoff e Amoroso. Nella stagione successiva Sottil respira anche l’aria della sfida con l’Arsenal, alla fine vincitore della scomparsa Coppa delle Coppe nella finalissima con il Parma.
Durante quella estate il trasferimento alla Fiorentina nell’ambito dello scambio che porta Tosto a Torino, complice anche il passaggio del “Mondo” all’Atalanta che lo vorrà proprio a Bergamo nel ’96, la tappa in carriera prima dell’approdo all’Udinese: «Mondonico è stato l’allenatore che mi ha lanciato nel mondo dei professionisti – disse Sottil nel 2018 a Telefriuli, intervistato sulla scomparsa del tecnico –: ero molto giovane, nel Torino avevo 17 anni; lui ha sempre creduto in me. A Mondonico devo tantissimo. Mi ha insegnato tante cose. Come allenatore è stato un maestro di vita, mi ha formato come ragazzo, mi ha insegnato il mestiere, mi ha insegnato i valori. È stato un grandissimo, geniale, innovativo negli Anni 80, nessuno sapeva leggere le partite come lui».
Avete ritrovato in queste parole una delle doti scoperte nell’attuale guida dell’Udinese? La capacità di cambiare le gare “in corsa”? Ecco, fanno parte dell’eredità del “Mondo” ricevuta da Sottil che per cominciare ad allenare ha cominciato davvero dal basso, dalla gavetta. Il Siracusa in serie D nella stagione 2011-’12 prima di Gubbio, Cuneo, Paganese, ancora Siracusa, Livorno, Catania, Pescara e Ascoli per scalare tutte le categorie fino alla B, prima del grande salto nella massima serie, lo scorso 7 giugno, con l’Udinese.
Ma la carriera sulla panchina cominciò sempre a Torino, al Lucento, club di dilettanti (ora milita del campionato di Promozione) con un settore giovanile, raccomandato da un’altra vecchia gloria granata, Antonio Comi, per dieci anni direttore generale del presidente Urbano Cairo. Prese la squadra dei Giovanissimi nati nel 1996, come spiegò il ds del club, Arturo Gallo, ricordando i primi passi sul Corriere di Torino: «Aveva smesso da poco di giocare e studiava da allenatore, fu un’autentica rivelazione. Tutti pendevano dalle sue labbra, insegnava davvero calcio, proponeva un gioco basato su due tocchi e metteva la disciplina al primo posto, anche giocatori della prima squadra venivano prima al campo per seguire i suoi allenamenti. Era destinato a fare strada».
Una strada che adesso si incrocia con il suo passato. —
I commenti dei lettori