Minuti di stop e polemiche che restano, non piace l’arbitro appeso al Var: «In Premier bastano 5 secondi»
Gli arbitri della serie A suscitano perplessità, seppur “abbracciati” al video, in collegamento diretto con la sala di Lissone. Dove stanno una vita per suggerire la mossa da fare e non sempre con la dovuta autorevolezza.
Stefano Martorano
Il rigore (o non rigore) di Udine sul tocco di mano di Bijol che contro il Milan si autocolpisce con il pallone sul braccio sinistro cercando di spazzare l’area. Il tocco con il braccio (o no?) di Rabiot nell’azione del gol che ha deciso il derby d’Italia
Gli arbitri della serie A suscitano perplessità, seppur “abbracciati” al video, in collegamento diretto con la sala di Lissone. Dove stanno una vita per suggerire la mossa da fare e non sempre con la dovuta autorevolezza. «La tempistica del Var in Italia è di un minuto e mezzo per caso e non è in linea con i cinque secondi della Premier e della Bundesliga». È l’esperto Filippo Grassia, giornalista e conduttore su Radio Rai della storica trasmissione radiofonica “La moviola? Guardiamola alla radio”, a mettere il dito nella piaga di un Var che dovrà essere comunque sempre più tecnologico per non sollevare dubbi, proteste e polemiche.
IL RIGORE AL FRIULI
Il primo caso eclatante è stato al Friuli, quando l’arbitro Doveri è stato richiamato all’on field review dal Var Nasca dopo avere giudicato non da rigore il mani di Bijol sul tocco ravvicinato di Leao. Un richiamo dal Var che ha allungato il primo tempo di una buona decina di minuti, tra la concessione al 42’, la ripetizione al 4’ di recupero, a cui è seguito il gol di Beto dopo altri 120 secondi, e che Grassia ha giudicato così: «Faccio una premessa necessaria su Doveri che non deve avere bisogno del Var per definire situazioni evidenti, altrimenti si ha l’impressione che il Var funzioni quasi da badante.
Il rigore? Ci sono gli estremi perché Bijol ha tenuto il braccio largo, ma in questo caso il Var avrebbe potuto richiamare l’arbitro via radio chiedendo direttamente a lui la valutazione degli estremi, altrimenti i grandi capi si contraddicono quando dicono che è l’arbitro in campo che conta». Come se non bastasse, Doveri e l’assistente Cecconi non hanno visto l’invasione di Beto sul rigore parato da Silvestri a Ibrahimovic, finendo per essere richiamati dal Var dopo un bel po’ di secondi di gioco. «Si sono persi l’invasione, specie l'assistente – spiega Grassia – e Sottil si sarebbe potuto risparmiare il “rosso”. A suo tempo feci una proposta al presidente Infantino e alla Fifa, suggerendo di battere i rigori in partita come avviene dopo i supplementari, un duello tra portiere e attaccante, una misura per eliminare incongruenze e perdite di tempo. La risposta? Sarebbe stata valutata».
MANI A SAN SIRO
L’altro caso eclatante ha riguardato il presunto fallo di mano di Rabiot a San Siro nell’azione che ha portato al gol della Juventus di Kostic al 23’, con 3 minuti e 53 secondi di sospensione in attesa di una decisione. «L’impressione è che Rabiot abbia toccato di mano, noi abbiamo visto un ondeggiamento della manica dalle nostre inquadrature, ma se Mazzoleni al Var non era sicuro significa che ancora oggi le telecamere non sono all’altezza della situazione, pur avendo a Lissone almeno 12 inquadrature diverse.
Anche in questo caso resto convinto che il Var avrebbe dovuto far decidere a Chiffi». Poi, ecco la critica di Grassia: «Il punto è che non si possono perdere quattro minuti o il minuto e mezzo di media per caso in Italia. Sono tempi che non reggono il confronto con i cinque secondi che servono in Premier e Bundesliga e che fanno pensare a una mancanza di assunzione di responsabilità. Il futuro? Introdurre il tempo effettivo o prendere esempio dal rugby portando il tv referee, con l’arbitro che spiega in diretta mentre riguarda le immagini».
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