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Noi uccidiamo il mondo e le scimmie parlano di pace

Adrenalinico sequel che risalta la costante follia dell’uomo contro la natura E sarà battaglia provocata dal caso, ma se vai all’origine è sempre colpa nostra

1 minuto di lettura

Loro scimmie intelligenti, noi umani stupidi. Il mondo in fin di vita è il saccheggio cinematografico preferito. La distruggeremo ’sta Terra, ovviamente sì, i fantasy intanto se la godono a immaginarsela riempita di erbacce e di maledetto silenzio. Razza estinta. Il valzer con gli antenati pelosi inizia a girare alla fine dei Sessanta con il cult Planet of Apes di Franklin J. Schaffner e s’insisterà per un quinquiennio. Pausa. Nel 2001 ci pensa Robbins a fare un refresh, dieci anni ancora e spunta la corsa verso l’Alba di Rupert Wyatt. Apes Revolution è il sequel milionario, tra l’altro; in Usa è andato via come il pane. Al solito la morte esce dal laboratorio. Circola il virus, ammazza i popoli e rafforza gli scimpanzè. Qualche sopravvissuto c’è - gli immuni - e ha scelto di vivere in una specie di comune senza luce. È la solita solfa della categoria post-atomico. A forza di evocare il disastro, quello ci piomberà sulla nuca per davvero.

Un film che sta su bene dritto, anche se il primo l’hai schivato, vai liscio senza quell’espressione di smarrimento tipica di chi s’è perso qualcosa. Le bestiole, oddio per la verità piuttosto corpulente, abitano zone impervie e nulla le smuove dai nuovi privilegi. Saggiamente invocano la pace, ma se il bipede col fucile rompe le balle, la tregua vacilla. La metafora è chiara. Quelli scellerati siamo proprio noi, mica le ex cavie. Avevamo un pianeta magnifico e ce lo siamo giocato col piccolo chimico, roba da corte marziale. Tant’è che Cesare, il grande capo del branco, è per non andare a cercare rogne. «Morirebbero troppe scimmie».

La rivoluzione sta chiusa nel titolo e prima o poi te l’aspetti. Be’, diciamo che gli eventi, ecco, non hanno favorito la convivenza. Già il dominio è l’urgenza del globo popolato, se calpestato da quattro gatti diventa una necessità assoluta. Scorre via, garantiamo sul prodotto straniero. In realtà è dura sconfinare nell’originalità. Sempre il modello base si segue, poi chi sa valorizzarlo e chi copia paro paro. Adesso ci balena in testa lo sguardo di Andy Serkis, l’attore famoso per essere il più invisibile. Sempre dentro i costumi lo ficcano e soltanto gli occhi suoi si vedono. Si prese cura pure del Gollum, per dire. E non finirà così. Il raccolto ricco (oltre trecento milioni) ha stimolato il terzo affaccio sul futuro. E allora sarà guerra vera, ci potete giurare.

Visionario, The Space Cinema, Città Fiera, David di Tolmezzo, Fiume Veneto, Kinemax Monfalcone, Villesse

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