I mosaici, le figure, l’astratto: Ivanoe Zavagno in 190 opere
LICIO DAMIANI. “L’Omaggio a Pizzinato”, cosí si intitola uno dei grandi mosaici su tavola di Ivanoe Zavagno (180 x 230 centimetri) che a Tolmezzo introducono la mostra antologica di palazzo Frisacco...
LICIO DAMIANI. “L’Omaggio a Pizzinato”, cosí si intitola uno dei grandi mosaici su tavola di Ivanoe Zavagno (180 x 230 centimetri) che a Tolmezzo introducono la mostra antologica di palazzo Frisacco aperta fino al 9 marzo, è costruito su una tensione di rette nere verticali, orizzontali, oblique, intersecate da ellissi azzurre, su compenetrazioni di rettangoli e di elementi trapezoidali bianchi, blu scuro, celesti, rosa, ocra, dorati, a comporre un impetuoso andante sinfonico. Lo sguardo è magneticamente attratto dall’incalzante visione che sembra uscire dal supporto per erompere nello spazio circostante riempiendolo di vibrazioni. La cultura musicale dell’artista, con le leggi dell’armonia, della melodia, del contrappunto, si traduce figurativamente in ritmiche scansioni di segni e di cromatismi, in gorghi di scintillii smaglianti.
Tre i capitoli della mostra: a piano terra le composizioni musive, al secondo piano i dipinti figurativi degli anni Cinquanta e Sessanta, al primo piano quelli degli anni successivi, in maggioranza astratti, ma con alcuni ritorni alla figura. Complessivamente 190 opere.
È dall’humus nativo dei mosaici spilimberghesi che Zavagno, erede di una gloriosa tradizione familiare, ha dato avvio alla successiva produzione pittorica. Mosaici, i suoi, come aggregati materici che si traducono in tessuti d'arcobaleno. Irraggiamenti di forme desunte per sintesi dalla natura, ma anche scaturite dalla fervida accensione della fantasia, ricche di dionisiaca tensione e di un qual malinconico mistero. Incastri di paste vitree, di scarti recuperati dai forni di lavorazione, di marmi, di smalti, di frammenti di sasso e di materiali ferrosi, goduti nella loro “cantante” tattilità. Si guardi al tessellato grezzo e robusto dei “Fondali marini” percorsi dal fluire cangiante di golosità materiche e da un forte impatto visivo. O, d’altra parte, a opere come “Voli di angeli” e “L’angelo protettore”, effusi in un divampare intessuto di trasparenze.
Aprono la lunga sequenza dei dipinti il verismo arguto di “Calzolai a litigio” (1959), la plastica voluttà carnale del “Nudo con chitarra” (1955), la severa monumentalità di “Donna in attesa del marito”, sempre degli anni Cinquanta. Tra i “Paesaggi”, accanto a due vedute di una Grado assolata, rispettivamente del 1953 e 1958, la freschezza incantata dei verdi alberi in “Giardino del mio studio”.
Nelle opere informali invece la pittura, germinata dalla tessitura musiva, si fa caleidoscopio nel quale rifrangere le tracce di ascendenza verista e travolgerle nel vento impetuoso della passione figurale. Sensazioni vaghe del reale e “pulsioni” ambientali vengono riportate sulla tela con impetuose scansioni “cinetiche” fitte di intarsi, di intrecci, di segmenti. Dipinti quali “Il mascherone”, “Carbone per vite umane” (Marcinelle), “Arlecchino metafisico”, “La predica del Savonarola”, si accendono di un brulicare e ribollire di forme indistinte come nel fondo di un calderone stregato, o si impongono in un silenzio sospeso di vetrata. “Riflessi di laguna” si direbbe composto sui metri turbinosi di Vedova. In altre tele l’annodarsi di ritmi lascia affiorare un’eco delle rotazioni futuriste di Balla. Nell’“Omaggio ai martiri delle Fosse Ardeatine trafitti da lance” affiorano simulacri umani e in “Esodo da Kossovo” l’artista trasfigura con forte passione civile le tragedie della storia.
Ma frequenti sono anche i ritorni figurativi, come nel “Partigiano morto”, nei due energici “Autoritratti” e nei “Ritratti”, tra i quali quelli di Pasolini, Amedeo Giacomini, Bartolini, Sgorlon, negli epici e solari templi ellenici di Agrigento, nella “Manifestazione sindacale” (2007), sorta di rilettura contemporanea del celebre “Quarto stato” di Pellizza da Volpedo. E in “Miseria” (1978) dall’impasto di verdi e di blu escono drammaticamente sfaldate le figure umbratili della madre e dei due smunti figlioli.
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