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Viaggio letterario fra le trincee dove si consumò l’inutile strage

Lo storico ed editore Paolo Gaspari protagonista in questi giorni con diari dal fronte, guide e mappe. Il dato piú agghiacciante: un’Italia di 34 milioni di abitanti perse 651 mila soldati e un milione di civili

3 minuti di lettura

Un consiglio per chi vuole capire cos’è stata la carneficina della prima guerra mondiale. Andate a Monfalcone, parcheggiate in viale San Marco e incamminatevi verso la salita Mocenigo.

In pochi minuti siete sul Carso, all’inizio di un itinerario che in tre-quattro ore propone una sorta di viaggio nel calvario di quei due anni e mezzo, tra il maggio del 1915 e la rotta di Caporetto quando qui, in poche centinaia di metri, con davanti lo scenario del golfo e in lontananza la irraggiungibile Trieste, si combattè all’arma bianca e tra bombardamenti micidiali che costarono complessivamente, tenendo conto di italiani e austro-ungarici, un milione di perdite fra morti, feriti e dispersi.

Età media: 24/25 anni. Sono questi i luoghi da visitare e conoscere non in senso turistico, ma per comprendere l’enormità della strage.

E guardando a terra potete trovare, un secolo dopo, frammenti di granate e proiettili, testimonianze del fuoco terrificante abbattutosi su tanti poveri ragazzi. «Se qualcuno conosce la guerra, costui è il combattente», disse lo storico Jean Norton Cru, che era un veterano. Allora è importante vedere quei luoghi e informarsi, leggendo quanto venne scritto prima di tutto da chi suo malgrado dovette essere lí, come fece Carlo Salsa nello straordinario “Trincee”.

Andando sul Carso, a cercare quelle storie per capirne le cause al di là delle discussioni ideologiche, è utile allora essere provvisti dei libri giusti, come quelli che continuano a uscire nella collana dell’editore Paolo Gaspari di Udine quali strumenti di informazione a vario livello. Per esempio, lo stesso Gaspari è autore di un testo agile e denso di notizie. Si intitola “Le curiosità della Grande Guerra. Battaglie, donne, soldati e pregiudizi” (80 pagine, 10 euro) dove sono elencati i dati essenziali.

Un aspetto sempre agghiacciante riguarda i caduti: su una popolazione di 34 milioni di abitanti, l’Italia registrò 651 mila morti fra i militari, oltre a un milione di civili, metà dei quali sterminati dall’epidemia della spagnola e gli altri da denutrizione. I militari mobilitati furono in tutto circa 5 milioni, di cui 2,2 milioni avevano meno di 24 anni: tra questi ragazzini morirono in 260 mila (e 17 mila 500 avevano tra i 17 e i 18 anni). Per la fanteria i caduti in combattimento furono il 22%, per artiglieria e genio il 5%, per gli alpini il 10%.

Il reato di diserzione coinvolse 190 mila coscritti con 162 mila processi e 101 mila condanne, cifra che non ha confronti con gli altri eserciti. Ciò dipendeva anche dalla vetustà del Codice penale militare, che risaliva al 1869, quando non esisteva la coscrizione di massa. Per esempio veniva considerato disertore chiunque risultasse assente dal reparto per piú di 24 ore.

Fatto inevitabile con reggimenti che reclutavano in regioni a centinaia di chilometri. Altro dato da considerare, quello dei volontari, anche questi pochi rispetto ad altri paesi: appena 11 mila. Il vero nucleo era rappresentato da ultraquarantenni (come l’ex garibaldino udinese Riccardo Luzzato, che aveva 73 anni) e da irredenti: 700 trentini e 1700 giuliano dalmati. Numero comunque limitato rispetto agli oltre 100 mila italiani sudditi austriaci chiamati alle armi.

Altre notizie possono essere trovate in “Storia cronologica dei combattimenti sul fronte italiano 1915-1918”, di Giacomo Bollini, volume sempre edito da Gaspari (160 pagine, 13,90 euro) dove si racconta anche “la decimazione” avvenuta a Santa Maria la Longa nel luglio 1917. Come si sa, attualmente è in atto un’iniziativa parlamentare per riabilitare i quattro alpini fucilati a Cercivento e tutti i militari passati per le armi.

Gli uomini della Brigata Catanzaro, in riposo dopo turni tremendi in trincea, si ribellarono essendo stati rispediti subito al fronte. Vennero fucilati sul posto in 28 e fu l’episodio di rivolta piú grave registrato sul fronte italiano. Altri 4 vennero giustiziati in seguito e l’intera Brigata mandata a combattere e morire. I libri vanno letti per non dimenticare simili tragedie.

Infine, spulciando tra i diari di un secolo fa, Gaspari ne ha trovato anche uno con tono umoristico, forse l’unico su quei mesi di conflitto. Si intitola “L’involontario di guerra” (190 pagine, 18 euro) e lo scrisse un reduce, Leo Torrero, che aveva poi fatto il giornalista a Trento. Narra la storia di “Tubero”, ovvero il cuoco Maurizio Piovesato, di Castelfranco Veneto, chef sui grandi transatlantici arruolato e catapultato sul fronte dell’Isonzo dove venne segregato in una sorta di grotta vicino a Tolmino a preparare delizie per una combriccola di ufficiali imboscati.

Una vicenda divertente, ma emblematica di un certo spirito italico, in auge allora e sempre. La famosa (spesso deleteria, per chi ne subisce le conseguenze) arte di arrangiarsi. Comunque, “Tubero” non ne aveva colpa e resta un personaggio sorprendente.

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