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I segreti di Redona: il borgo di Movada riemerge dal lago

Tramonti di Sotto, gli scheletri di sassi inghiottiti dall’acqua del Meduna tengono viva la storia dell’esodo coatto degli anni ’50

3 minuti di lettura

TRAMONTI DI SOPRA. Il vecchio borgo di Movada resiste ancora con la forza della disperazione. Non c'è più nulla che tenga assieme i sassi delle case. Non c’è neppure traccia di quel po’ di calce, prodotta nelle fornaci della valle, che era usata come collante.

Restano pietre accatastate su pietre, ben incastrate le une con le altre, in balia degli scossoni violenti dell'acqua. Il lago di Redona, di tanto in tanto, svela i suoi segreti. Nei periodi di grande secca rispuntano gli scheletri delle abitazioni.

[[(MediaPublishingQueue2014v1) Il borgo di Movada riemerge dal lago]]

Prima o poi però si consumeranno e non rimarrà più traccia della vita tribolata di pochi montanari costretti ad abbandonare il luogo natio. In questo periodo, le rovine sono completamente riemerse, a tal punto che è possibile raggiungerle superando il materasso di fango.

Procedendo a fatica da un'abitazione all'altra (ovviamente calzando gli stivali), si resta affascinati dalla fitta coltre del mistero che avvolge quelle poche case che resistono, da oltre sessant’anni, alle correnti del Meduna.

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) La leggenda del prete che sfida la maga rivive ancora nei racconti della vallata]]

Movada è ancora lì, sempre più decrepita ma in piedi, a testimoniare la storia di un piccolo “mondo antico”. Fanno bella mostra di sé gli edifici semplici, segni dell'architettura rurale dell'epoca, tirati su con sapiente maestria, perché quella era terra di scalpellini che poi si sono dispersi nel mondo in tempo di emigrazione.

Si colgono le fondamenta di una comunità di poche famiglie che badavano all'essenziale: coltivavano gli orti nella poca terra strappata al torrente; sfruttavano gli abbondanti pascoli di montagna per l’allevamento del bestiame; lavoravano il latte per farne il formaggio; curavano i boschi e ne ricavavano il legname da bruciare durante l’inverno.

Il borgo finì la sua esistenza agli albori degli Anni '50. I pochi residenti rimasti in loco, dopo la fuga messa in moto dalle emigrazioni, furono espropriati di tutti i loro averi per scopi definiti di “pubblica utilità” e risarciti con quattro soldi.

Il borgo di Movada riemerge dal lago

Quel vasto pianoro dovette lasciare il posto al grande lago artificiale. C'era la necessità di produrre l'energia elettrica per le fabbriche della pianura. La Val Tramontina rientrava infatti nei progetti della Saici (Società anonima agricola e industriale per la produzione italiana della cellulosa) per rifornire di forza motrice l’immenso complesso produttivo di Torviscosa.

In quel periodo, l'industrializzazione, fortemente energivora, dettava i ritmi del lavoro e governava da padrona lo sviluppo. Così le valli più impervie, scavate e tormentate da torrenti di ottima portata, rappresentavano ghiotte opportunità di sfruttamento.

[[(MediaPublishingQueue2014v1) Riaffiora il passato: il lago di Redona meta di turisti]]

Tra gli Anni '50 e '60, si costruirono in Friuli alcuni grandi sbarramenti per imbrigliare l'acqua necessaria ad alimentare alcune centrali. Si mosse subito la Saici, che mise le mani sull'intera area montana del Meduna. Nel giro di poco tempo realizzò tre importanti dighe: a Redona, poi a Selva e infine a Ciul (oggi tutti e tre i bacini sono nelle mani della Edison).

Più o meno nello stesso periodo si attivò anche la potentissima Sade che operò al Vajont, la cui storia finì con l'immane catastrofe del 9 ottobre 1963 che causò quasi duemila morti.

In Val Tramontina la vita cambiò radicalmente. Subito dopo la seconda guerra mondiale fu aperto il grande cantiere a ridosso della forra di Ponte Racli e, dopo pochi anni, entrò in funzione il primo bacino artificiale.

Di fatto, fu strappata l'anima a tre tranquille borgate, che vantavano un'orgogliosa identità: Movada, con il suo grumo di case raccolte in un piccolo fazzoletto di terra ai margini del Meduna; Redona, un vero e proprio paesello che viveva attorno alla chiesetta, alla scuola e all'osteria; Flour, con il suo mulino sempre in attività. Tutto sparì nel nulla.

Perché spendere soldi per demolire le case? Ai proprietari fu lasciato un po' di tempo per fare fagotto e portarsi via ciò che a loro poteva ancora servire: le travi dei tetti, le tegole, gli infissi in legno, le porte. Poca roba.

Rimasero gli scheletri di sassi pronti per la sepoltura: ci pensò l'acqua a sommergere quel poco che era rimasto. La memoria non abbandonò gli ultimi abitanti costretti alla resa. Ora sopravvivono frammenti sempre più sbiaditi di testimonianze e di ricordi.

Soltanto la comunità di Redona ebbe la possibilità di rinascere un po’ più in alto, lungo la strada a serpentine che conduce a Tramonti. Puntò all’essenziale: un piccolo nucleo di abitazioni attorno a una chiesetta. Tra bar e ristorante qualcosa vive ancora.

Di Flour non c'è traccia della sua esistenza. Neanche Movada fu più ricostruita, ma il vecchio borgo fa ostinatamente capolino dal lago in tempi di grande siccità. Basta lasciare la strada e imboccare la deviazione per Pecòl per scorgere dall'altura le poche rovine che ancora emergono dall'acqua.

Quanto resisterà quel borgo fantasma? Chi si fa coccolare dai ricordi non ha dubbi: «Il miracolo puntualmente si ripeterà».

Tocca alla vena narrativa di Giacomo Miniutti, la cui famiglia era di Movada, tener vive le testimonianze, compresa una leggenda dalla quale spunta nitida la figura carismatica del vecchio “prete del lago”, don Basilio, classe 1898, originario del luogo.

«La sua anima vaga tra gli scheletri di sassi - avverte lo scrittore - per difenderli dalle forti correnti del Meduna. Tra i silenzi si coglie il respiro fievolissimo di chi non vuole abbandonare quel posto. Guarda caso, a tutt'oggi, i muri sono ancora in piedi, come monito che l'uomo non è il padrone del Creato, ma è soltanto una sorta di giardiniere, messo sulla terra per lavorarla, curarla e mantenerla la più intatta possibile».

Giacomo Miniutti, da ultimo “cantore della vallata”, non molla la presa del racconto. Il sacerdote è in lotta continua con una malefica maga che vorrebbe cancellare definitivamente la storia della piccola comunità. La donna è preda di volontà diaboliche: punire il borgo per aver sostenuto il prete.

Che ne sarà di Movada? Nei periodi di seccità, Giacomo Miniutti non perde di vista il lago, neanche per un attimo. Lui è sicuro dell’esistenza di un santo protettore. E quando intravede le rovine, gongola: «Don Basilio è lì, lavora ancora».

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