«Lettera a don Milani per rinnovare insieme il dovere di accogliere»
Don Di Piazza riflette sul priore che educò e formò gli esclusi «La scuola è il luogo in cui fare pedagogia della convivenza»
di LUCIANO SANTIN
2 minuti di lettura
Una silloge di pensieri ispirati a don Lorenzo Milani, di cui quest’anno è ricorso il cinquantennale della morte, composta, nell’incipit e nella conclusione, nella forma della lettera, cara al priore di Barbiana.
Questo è “Don Lorenzo Milani nella mia vita di uomo e di prete”, scritto da don Pierluigi di Piazza per Alba edizioni, a giorni in libreria. Riflessioni innescate da parole tanto profetiche da apparire, all’epoca, quanto meno eterodosse, riferite alla realtà presente e affiancate ad altre voci importanti come quelle di Balducci e di Turoldo.
Barbiana è stata spesso meta di pellegrinaggi personali. C’è qualche ricordo particolare?
«I luoghi parlano e Barbiana, anche quando lassù il silenzio è totale, fa risuonare la forza della profezia evangelica che lì si è attuata. La mia prima visita non programmata del 1 novembre 1980 e soprattutto la richiesta del tutto inattesa di celebrare l’Eucarestia con la lettura del Vangelo delle Beatitudini è un vissuto indelebile nella mia vita, un incontro speciale con don Lorenzo. Il cardinal Florit, friulano di origine, nella risposta, due anni dopo, a una lettera di don Milani lo aveva definito: “di zelo fustigatore, dominatore delle coscienze più che padre, assolutista con il rischio di produrre dei veri classisti...”. Anni dopo, quando si era ritirato, in una visita alla tomba, scuotendo la testa diceva al suo accompagnatore: “Ma quanto mi avete male informato su questo sacerdote!”».
Colpisce una testimonianza personale: la bocciatura del piccolo montanaro di Tualis, che potrebbe incastonarsi in “Lettera a una professoressa”.
«“Lettera a una professoressa” è un testo straordinario frutto del lavoro e della scrittura collettivi degli alunni. Lo spirito del testo, l’esperienza che esprime, sono di grande attualità pur nelle mutate situazioni. Non è ideologico, bensì un’accurata e documentata denuncia con grafici e numeri della scuola di classe e la proposta dell’alternativa. Di questi numeri sono parte anche io: negli anni ’50 a Tualis in Carnia pluriclassi, noi alunni quasi tutti bocciati una volta, io in terza. In quel meccanismo istituzionale ai figli dei poveri sarebbe stata preclusa in partenza la possibilità di proseguire gli studi».
Turoldo, che con il priore fu in sintonia diceva: «Io guardo al pane, lui alla cultura». Ma da questa discende quello?
«Don Milani prima nella scuola popolare a San Donato di Calenzano, poi a Barbiana, ha sentito di esprimere pienamente il suo essere prete nell’essere maestro. A me pare che si tratti di una sottolineatura, non di una differenza. Tutte e due le dimensioni sono fondamentali e profondamente legate».
Anche per i migranti la partita si gioca sulla scuola?
«Sì, per due motivi: la scuola è un ambito educativo fondamentale per informare e formare e può svolgere un compito molto importante nella pedagogia della convivenza fra le diversità e favorire una lettura della storia del mondo aperta, planetaria. È ugualmente importante per coloro che arrivano fra noi: per l’apprendimento della lingua italiana, delle informazioni storiche, istituzionali e civiche, per inserirsi in questa società».
Noi invece che sulla scuola investiamo sulle armi. In nome del dio Pil.
«Come scrive Papa Francesco nell’Enciclica "Laudato sii" il mondo così com’è strutturato è destinato alla morte se non si provvede in modo risoluto al cambiamento. La guerra è sempre una follia e quindi lo è anche la sua preparazione; la produzione e il commercio delle armi sono in aumento, arricchiscono alcuni e uccidono e feriscono moltitudini e attuano distruzioni immani. Pochi riflettono ancor meno prendono posizione. La politica è colpevolmente complice».
E intanto si consuma quello che La Valle ha definito un genocidio.
«Un genocidio, pensando ai 65 milioni di persone in cammino sul pianeta, alle responsabilità delle cause strutturali delle loro forzate partenze, ai viaggi tragici, alle decine e decine di migliaia di morti. Pensiamo all’immenso cimitero del mare Mediterraneo».
Per molti, Papa Francesco incarna la speranza. È andato a Barbiana, ma don Milani, nei seminari, spesso è ancora dimenticato.
«Papa Francesco ripropone la Chiesa del Vangelo e del Concilio Vaticano II. Molte persone, anche non appartenenti alla Chiesa, sono in sintonia, altre, anche appartenenti, contrarie, compresi vescovi e preti. Questa è la mia lettura: la religione è più facile, conferma l’esistente; la fede prospetta, sollecita, inquieta, coinvolge e consola. Più di qualche volta pare perdente rispetto alla religione. Don Milani è totalmente credente; è uomo e prete della Chiesa profetica, testimone fedele e coerente; per questo nella formazione dei preti, non si propone come altri profeti proprio perché sono uomini e preti della fede, non della religione del sistema».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Questo è “Don Lorenzo Milani nella mia vita di uomo e di prete”, scritto da don Pierluigi di Piazza per Alba edizioni, a giorni in libreria. Riflessioni innescate da parole tanto profetiche da apparire, all’epoca, quanto meno eterodosse, riferite alla realtà presente e affiancate ad altre voci importanti come quelle di Balducci e di Turoldo.
Barbiana è stata spesso meta di pellegrinaggi personali. C’è qualche ricordo particolare?
«I luoghi parlano e Barbiana, anche quando lassù il silenzio è totale, fa risuonare la forza della profezia evangelica che lì si è attuata. La mia prima visita non programmata del 1 novembre 1980 e soprattutto la richiesta del tutto inattesa di celebrare l’Eucarestia con la lettura del Vangelo delle Beatitudini è un vissuto indelebile nella mia vita, un incontro speciale con don Lorenzo. Il cardinal Florit, friulano di origine, nella risposta, due anni dopo, a una lettera di don Milani lo aveva definito: “di zelo fustigatore, dominatore delle coscienze più che padre, assolutista con il rischio di produrre dei veri classisti...”. Anni dopo, quando si era ritirato, in una visita alla tomba, scuotendo la testa diceva al suo accompagnatore: “Ma quanto mi avete male informato su questo sacerdote!”».
Colpisce una testimonianza personale: la bocciatura del piccolo montanaro di Tualis, che potrebbe incastonarsi in “Lettera a una professoressa”.
«“Lettera a una professoressa” è un testo straordinario frutto del lavoro e della scrittura collettivi degli alunni. Lo spirito del testo, l’esperienza che esprime, sono di grande attualità pur nelle mutate situazioni. Non è ideologico, bensì un’accurata e documentata denuncia con grafici e numeri della scuola di classe e la proposta dell’alternativa. Di questi numeri sono parte anche io: negli anni ’50 a Tualis in Carnia pluriclassi, noi alunni quasi tutti bocciati una volta, io in terza. In quel meccanismo istituzionale ai figli dei poveri sarebbe stata preclusa in partenza la possibilità di proseguire gli studi».
Turoldo, che con il priore fu in sintonia diceva: «Io guardo al pane, lui alla cultura». Ma da questa discende quello?
«Don Milani prima nella scuola popolare a San Donato di Calenzano, poi a Barbiana, ha sentito di esprimere pienamente il suo essere prete nell’essere maestro. A me pare che si tratti di una sottolineatura, non di una differenza. Tutte e due le dimensioni sono fondamentali e profondamente legate».
Anche per i migranti la partita si gioca sulla scuola?
«Sì, per due motivi: la scuola è un ambito educativo fondamentale per informare e formare e può svolgere un compito molto importante nella pedagogia della convivenza fra le diversità e favorire una lettura della storia del mondo aperta, planetaria. È ugualmente importante per coloro che arrivano fra noi: per l’apprendimento della lingua italiana, delle informazioni storiche, istituzionali e civiche, per inserirsi in questa società».
Noi invece che sulla scuola investiamo sulle armi. In nome del dio Pil.
«Come scrive Papa Francesco nell’Enciclica "Laudato sii" il mondo così com’è strutturato è destinato alla morte se non si provvede in modo risoluto al cambiamento. La guerra è sempre una follia e quindi lo è anche la sua preparazione; la produzione e il commercio delle armi sono in aumento, arricchiscono alcuni e uccidono e feriscono moltitudini e attuano distruzioni immani. Pochi riflettono ancor meno prendono posizione. La politica è colpevolmente complice».
E intanto si consuma quello che La Valle ha definito un genocidio.
«Un genocidio, pensando ai 65 milioni di persone in cammino sul pianeta, alle responsabilità delle cause strutturali delle loro forzate partenze, ai viaggi tragici, alle decine e decine di migliaia di morti. Pensiamo all’immenso cimitero del mare Mediterraneo».
Per molti, Papa Francesco incarna la speranza. È andato a Barbiana, ma don Milani, nei seminari, spesso è ancora dimenticato.
«Papa Francesco ripropone la Chiesa del Vangelo e del Concilio Vaticano II. Molte persone, anche non appartenenti alla Chiesa, sono in sintonia, altre, anche appartenenti, contrarie, compresi vescovi e preti. Questa è la mia lettura: la religione è più facile, conferma l’esistente; la fede prospetta, sollecita, inquieta, coinvolge e consola. Più di qualche volta pare perdente rispetto alla religione. Don Milani è totalmente credente; è uomo e prete della Chiesa profetica, testimone fedele e coerente; per questo nella formazione dei preti, non si propone come altri profeti proprio perché sono uomini e preti della fede, non della religione del sistema».
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