Nella zuffa per difendere il randagio spuntò un coltello e ci scappò il morto ma a pagare fu un medico maldestro
Nell’anno 1888«È tempo di proclamare un indirizzo nuovo alla medicina legale, e che le esigenze della Legge si modifichino in modo conforme alle rinnovate dottrine. Finché durerà l’attuale sistema,...
Nell’anno 1888
«È tempo di proclamare un indirizzo nuovo alla medicina legale, e che le esigenze della Legge si modifichino in modo conforme alle rinnovate dottrine. Finché durerà l’attuale sistema, vedremo molti procedimenti penali terminare offendendo la morale, e vedremo proprio sotto l’egida della scienza adoperati dai ministri della giustizia più pesi e più misure». È con tale piglio che il medico legale Pennato, luminare a Udine, in una lettera apparsa sul giornale i primi di aprile del 1889, difese il medico condotto di Tarcento. Quest’ultimo, infatti, il cui nome è rimasto nel taccuino del cronista, si trovò sorprendentemente al banco degli imputati, condannato per omicidio colposo. Come accadde? La vicenda è demenziale. Alla mezzanotte del 2 dicembre 1888, per le viuzze di Aprato se ne andavano cantando i paesani Leonardo Comello, Giulio Cragnolini e certo Cojaniz. Tutti ciucchi e barcollanti. A un tratto s’avvicinò loro un cane arruffato e il Comello gli scagliò contro un sasso. Fortuna volle che l’alcol avesse confuso le traiettorie e il randagio fuggì guaendo, ma indenne. A quel punto, sbucato dal nulla come un giustiziere della notte, il fabbro Luigi Ermacora s’avventò sul Comello. Insomma, a difesa di “Fido”, fra i quattro furono botte da orbi. Sembrava un cartone della Pixar, perché al gomitolo di braccia e mani, presto s’aggiunsero: tal Valentino Volpe, di ritorno da una (sconcertante vista l’ora) passeggiata al cimitero, Valentino Comello, padre del Leonardo e niente po’ po’ di meno che la madre e la sorella. Ma facciamola breve. Dopo lungo questionare, nonostante gli animi si fossero placati, scappò il morto. L’Ermacora, infatti, per difendersi da un attacco vigliacco del Comello, sfoderò una lama e lo colpì due volte al ventre, ferendolo gravemente. E qui entra in gioco il medico di Tarcento che, dopo aver prestato alla vittima le prime cure, due giorni dopo lo vide morire all’ospedale di Udine per sopraggiunta peritonite. Ecco che il processo contro Luigi Ermacora ebbe, per i friulani, dell’incredibile. Il fabbro fu condannato a un anno soltanto, per eccesso colposo di legittima difesa mentre, a pagar per lui, fu il povero medico di campagna reo, secondo i periti, di grave incompetenza. Al colpo del maglio, si scatenò il putiferio.
E fu così, che dopo aver acceso in regione il dibattito del secolo, lo scontro tra etica, scienza e sistema giudiziario, un randagio color pepe se ne tornò nel bosco a trotto sghembo, fiutando angoli e spruzzando pipì. —
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