Commercio, per ora non si cambia. Ma nel Pdl scoppia il caso Trieste
«Prima si approvi il disegno sulle manutenzioni e poi parleremo delle domeniche»
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TRIESTE. Le domeniche non si toccano. Almeno non per ora. Ma nel Pdl si apre un nuovo caso interno: quattro consiglieri triestini, denunciando la poca attenzione per il capoluogo regionale, sono pronti a costituire un gruppo autonomo. Ieri l’aula, che sta affrontando il corposo disegno di legge «di manutenzione», ha chiuso in poche ore la questione delle aperture festive, riportata d’attualità mercoledì da quattro emendamenti che “guerreggiavano” proprio sull’apertura di tre nuove domeniche (da 29 a 32 annuali) e su deroghe per alcune città.Una maggioranza, territoriale, politica, addirittura trasversale non si è trovata. E così, di fronte al secco no di Lega Nord e Udc - il capogruppo Edoardo Sasco è arrivato a citare Papa Benedetto XVI per dire no ai supermarket -, gli emendamenti sono diventati carta straccia: se ne riparlerà nei prossimi mesi.
Ma in politica tutto ha una conseguenza. E così, i triestini del Pdl che avevano riacceso la miccia si sono riuniti, progettando una vendetta. E’ toccato a Maurizio Bucci esporre in aula il malumore dei giuliani, a meno di 24 ore dal grido d’allarme lanciato sulla via dei finiani da Paolo Ciani. Correnti e territorio si intrecciano: a pagare il conto resta un Pdl nervoso, dove più di un assessore o consigliere sbotta, insofferente alle continue rivendicazioni. «Sembra che siamo diventati il Pd», riassume ironizzando uno di questi.
«Trieste, capoluogo fino a prova contraria della Regione Friuli Venezia Giulia - ha detto in aula Bucci - è estromessa dall’apice della Giunta, non rappresentata alla presidenza del consiglio o ai suoi vice». Ancora: secondo Bucci, Trieste «subisce la ridicola e folcloristica umiliazione (del Friuli, ndr) perfino sul fiore all’occhiello della Barcolana». Il dado è tratto: Piero Camber, Bruno Marini, Piero Tononi e lo stesso Bucci sono pronti al gruppo autonomo. L’annuncio spiazza tutti. La testa corre al Melone, la Lista per Trieste che fu una civica ante litteram, «di cui siamo tutti figli», dice subito Camber. E anche, in realtà, alle prossime scadenze elettorali a Trieste: come dire, un po’ di autonomismo può tornar comodo. Lotte domenicali a parte, il gruppo del Pdl appare sempre più indebolito, frammentato. Da una parte ci sono i finiani che stanno prendendo coraggio per arrivare al loro gruppo autonomo, dall’altra i triestini. In mezzo restano gli ex Dc del capogruppo Daniele Galasso, mentre un po’ più in la’ i socialisti alla Alessandro Colautti.
Renzo Tondo, per ora, preferisce non entrare nella questione. Il presidente della giunta si limita a ricordare le materie all’ordine del giorno: «Prima si approvi il disegno di legge di manutenzione – ha detto –, poi parleremo di commercio e di Trieste». Arriva allora il pontiere Galasso a garantire: «Rispetteremo l’accordo preso con i consiglieri di Trieste sul commercio».
Il caso politico del giorno provoca reazioni in tutto l’arco consiliare. Il consigliere dei Cittadini Stefano Alunni Barbarossa rileva che «il Pdl triestino soccombe», per la Lega il responsabile enti locali Luca Mazzaro ribadisce il no del Carroccio a nuove aperture, Igor Kocijancic (Sinistra arcobaleno) si mette gli occhiali da osservatore politico e nota che «i finiani non ci sono, nel Pdl ci sono rivendicazioni di peso territoriale», mentre il democratico Sergio Lupieri denuncia «la confusione schizofrenica del centrodestra».
Ma in politica tutto ha una conseguenza. E così, i triestini del Pdl che avevano riacceso la miccia si sono riuniti, progettando una vendetta. E’ toccato a Maurizio Bucci esporre in aula il malumore dei giuliani, a meno di 24 ore dal grido d’allarme lanciato sulla via dei finiani da Paolo Ciani. Correnti e territorio si intrecciano: a pagare il conto resta un Pdl nervoso, dove più di un assessore o consigliere sbotta, insofferente alle continue rivendicazioni. «Sembra che siamo diventati il Pd», riassume ironizzando uno di questi.
«Trieste, capoluogo fino a prova contraria della Regione Friuli Venezia Giulia - ha detto in aula Bucci - è estromessa dall’apice della Giunta, non rappresentata alla presidenza del consiglio o ai suoi vice». Ancora: secondo Bucci, Trieste «subisce la ridicola e folcloristica umiliazione (del Friuli, ndr) perfino sul fiore all’occhiello della Barcolana». Il dado è tratto: Piero Camber, Bruno Marini, Piero Tononi e lo stesso Bucci sono pronti al gruppo autonomo. L’annuncio spiazza tutti. La testa corre al Melone, la Lista per Trieste che fu una civica ante litteram, «di cui siamo tutti figli», dice subito Camber. E anche, in realtà, alle prossime scadenze elettorali a Trieste: come dire, un po’ di autonomismo può tornar comodo. Lotte domenicali a parte, il gruppo del Pdl appare sempre più indebolito, frammentato. Da una parte ci sono i finiani che stanno prendendo coraggio per arrivare al loro gruppo autonomo, dall’altra i triestini. In mezzo restano gli ex Dc del capogruppo Daniele Galasso, mentre un po’ più in la’ i socialisti alla Alessandro Colautti.
Renzo Tondo, per ora, preferisce non entrare nella questione. Il presidente della giunta si limita a ricordare le materie all’ordine del giorno: «Prima si approvi il disegno di legge di manutenzione – ha detto –, poi parleremo di commercio e di Trieste». Arriva allora il pontiere Galasso a garantire: «Rispetteremo l’accordo preso con i consiglieri di Trieste sul commercio».
Il caso politico del giorno provoca reazioni in tutto l’arco consiliare. Il consigliere dei Cittadini Stefano Alunni Barbarossa rileva che «il Pdl triestino soccombe», per la Lega il responsabile enti locali Luca Mazzaro ribadisce il no del Carroccio a nuove aperture, Igor Kocijancic (Sinistra arcobaleno) si mette gli occhiali da osservatore politico e nota che «i finiani non ci sono, nel Pdl ci sono rivendicazioni di peso territoriale», mentre il democratico Sergio Lupieri denuncia «la confusione schizofrenica del centrodestra».
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