L’addio a Mario Monicelli, un innamorato del Friuli
Livio Jacob, il presidente della Cineteca ripercorre le tappe del maestro in regione Il film del ’59 con una bellissima Mangano sulle colline di Venzone Nell’84 a Marano girò “Bertoldo”. Nel ’95 il docufilm con Gloria De Antoni
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UDINE. Trentasei anni dopo. Un ventiquattro aprile, 1995. Mario Monicelli ritorna. Venzone è ancora lì, un po’ cambiata. Sella Sant’Agnese, anche. Il solito silenzio di sempre. La memoria della Grande guerra non si cancella con l’avanzare dei calendari. Dal Friuli, alla fine dei Cinquanta, partì una produzione destinata a diventare storia del cinema mondiale. Se ne accorse anche Hollywood, che propose una Nomination all’Oscar.
«Una location invidiabile - ricorda il presidente della Cineteca del Friuli Livio Jacob, che quel giorno era al fianco del maestro - lontano dalla civiltà, ideale per allestire un set. Mario la scelse apposta». Recentemente fa innamorare anche il Johnnie To di Yesterday once more e il regista Francesco Lagi, che ha appena girato Missione di pace. «Non andammo fin là senza cinepresa» - racconta Jacob. «Sergio Germani girò alcune sequenze per La regola del gioco, una trasmissione Rai. E noi approfittammo per cogliere l’attimo».
E lo stesso 1995 l’anno dell’Italietta al cinema, amarcord sparsi e tesi a raccogliere gli umori dell’epoca irripetibile, organizzati dal Cec, tre anni prima di convertirsi all’Oriente. Con Monicelli arrivarono a Udine Alberto Sordi, Furio Scarpelli, Carlo Croccolo, Lello Bersani e Mario Maffei, aiuto regista de La grande guerra. «Guardandoli tutti assieme - fa rapida mente locale Thomas Bertacche - venivano i brividi. C’era la sensazione che un gruppo così non l’avremmo mai più avuto. Da allora Mario non ci ha più lasciati. Ci si sentiva spesso al telefono, venne persino all’inaugurazione del Visionario, nel 2004».
Torniamo lassù, in montagna. Lo sguardo di Monicelli passa in rassegna al passato. Si commosse? «Direi di no. Nonostante quel film gli diede la celebrità planetaria, non lo amava tanto quanto altri ben più strapazzati dalla critica», sottolinea Jacob. «La grande guerra fu un successo lampo, ovunque, e tutti s’inchinarono davanti al nuovo creatore di cinema. Ambientò un altro suo film in Friuli - dice ancora il direttore della Cineteca - ovvero Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, nel 1984. Allora scelse la laguna di Marano. I critici lo bastonarono parecchio e i botteghini non incassarono un granché. Paradossalmente Monicelli aveva più a cuore Bertoldo che il suo capolavoro». Bisognava in qualche modo celebrare quel ritorno. E così nasce il documentario Sui sentieri della Gloria - In viaggio con Mario Monicelli, scritto e ideato da Gloria De Antoni. «Il materiale abbondava, i finanziamenti purtroppo no. La Rai rispose “no grazie”, La7 rispose “no grazie”. Ci aiutò la Regione Fvg con preziosi contributi. La magnifica testardaggine di Gloria De Antoni nel voler arrivare al The end, ha fatto il resto. Monicelli non si oppose, anzi».
Nel 1996 il regista accetta un altro invito del Cec. Il cartellone segna Contestazione generale - C’era una (Ri)volta nel cinema italiano. «Mario si porta sottobraccio la pizza di Caro Michele, film sul ’68 sceneggiato assieme alla Suso D’Amico. È perfetto per la rassegna - racconta Bertacche - e ancora una volta Monicelli si rivela un amico. È uno di noi, ben lontano dai clichè di star che impongono ai vip una superiorità spesso sfacciata».
E scattano inevitabili aneddoti. «Con lui ce ne sono tanti», sorride Thomas. «Una sera ci ritrovammo in un ristorante. Lo presentai al titolare, un signore piuttosto anziano. Mentre raggiungiamo il tavolo, Mario si volta verso di me: “Di che anno è?”. Più giovane di te. “Se li porta proprio male”. «Si parlava spesso di donne. “Io ne ho avute cinque, una ogni dieci anni”, si infilò dentro un discorso generale. Gli ho creduto, non era il tipo da vantarsi, né da alimentare leggende».
A Lagunamovies Monicelli sbarcò nel 2005. È un festival acquatico e cinematografico: il tour il Laguna, le rarità da grande schermo, insomma in agosto Grado diventa una Venezia in miniatura. Rammenta Daniela Volpe: «Proprio in quei giorni svelò la volontà di fare il suo ultimo film Le rose del deserto, una dedica speciale all’amico viareggino Sergio Tobino, scrittore e poeta che scrisse Il deserto della Libia. Ma nessuno la voleva finanziare quell’opera. Poi, per fortuna, il progetto fu realizzato, ma Monicelli non si dava pace per quell’affronto».
E così, l’anno successivo, il Cec lo invitò a presentarlo, Le rose del deserto. «Il viaggio dall’aeroporto a Udine - racconta Thomas Bertacche - fu un incubo per Alessandro Haber (uno degli interpreti, ndr). Monicelli, ben conoscendo il lato debole di Alessandro, lo punzecchiò tutta la strada, assistendo felice alle sfuriate dell’attore». Un burlone magnifico. In fondo, Amici miei è la proiezione filmica della voglia irresistibile di provocare il prossimo. E come un Merletti o un Perozzi qualunque, adorava stupire tutti con il tormentone preferito: «Soltanto gli stronzi muoiono».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
«Una location invidiabile - ricorda il presidente della Cineteca del Friuli Livio Jacob, che quel giorno era al fianco del maestro - lontano dalla civiltà, ideale per allestire un set. Mario la scelse apposta». Recentemente fa innamorare anche il Johnnie To di Yesterday once more e il regista Francesco Lagi, che ha appena girato Missione di pace. «Non andammo fin là senza cinepresa» - racconta Jacob. «Sergio Germani girò alcune sequenze per La regola del gioco, una trasmissione Rai. E noi approfittammo per cogliere l’attimo».
E lo stesso 1995 l’anno dell’Italietta al cinema, amarcord sparsi e tesi a raccogliere gli umori dell’epoca irripetibile, organizzati dal Cec, tre anni prima di convertirsi all’Oriente. Con Monicelli arrivarono a Udine Alberto Sordi, Furio Scarpelli, Carlo Croccolo, Lello Bersani e Mario Maffei, aiuto regista de La grande guerra. «Guardandoli tutti assieme - fa rapida mente locale Thomas Bertacche - venivano i brividi. C’era la sensazione che un gruppo così non l’avremmo mai più avuto. Da allora Mario non ci ha più lasciati. Ci si sentiva spesso al telefono, venne persino all’inaugurazione del Visionario, nel 2004».
Torniamo lassù, in montagna. Lo sguardo di Monicelli passa in rassegna al passato. Si commosse? «Direi di no. Nonostante quel film gli diede la celebrità planetaria, non lo amava tanto quanto altri ben più strapazzati dalla critica», sottolinea Jacob. «La grande guerra fu un successo lampo, ovunque, e tutti s’inchinarono davanti al nuovo creatore di cinema. Ambientò un altro suo film in Friuli - dice ancora il direttore della Cineteca - ovvero Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, nel 1984. Allora scelse la laguna di Marano. I critici lo bastonarono parecchio e i botteghini non incassarono un granché. Paradossalmente Monicelli aveva più a cuore Bertoldo che il suo capolavoro». Bisognava in qualche modo celebrare quel ritorno. E così nasce il documentario Sui sentieri della Gloria - In viaggio con Mario Monicelli, scritto e ideato da Gloria De Antoni. «Il materiale abbondava, i finanziamenti purtroppo no. La Rai rispose “no grazie”, La7 rispose “no grazie”. Ci aiutò la Regione Fvg con preziosi contributi. La magnifica testardaggine di Gloria De Antoni nel voler arrivare al The end, ha fatto il resto. Monicelli non si oppose, anzi».
Nel 1996 il regista accetta un altro invito del Cec. Il cartellone segna Contestazione generale - C’era una (Ri)volta nel cinema italiano. «Mario si porta sottobraccio la pizza di Caro Michele, film sul ’68 sceneggiato assieme alla Suso D’Amico. È perfetto per la rassegna - racconta Bertacche - e ancora una volta Monicelli si rivela un amico. È uno di noi, ben lontano dai clichè di star che impongono ai vip una superiorità spesso sfacciata».
E scattano inevitabili aneddoti. «Con lui ce ne sono tanti», sorride Thomas. «Una sera ci ritrovammo in un ristorante. Lo presentai al titolare, un signore piuttosto anziano. Mentre raggiungiamo il tavolo, Mario si volta verso di me: “Di che anno è?”. Più giovane di te. “Se li porta proprio male”. «Si parlava spesso di donne. “Io ne ho avute cinque, una ogni dieci anni”, si infilò dentro un discorso generale. Gli ho creduto, non era il tipo da vantarsi, né da alimentare leggende».
A Lagunamovies Monicelli sbarcò nel 2005. È un festival acquatico e cinematografico: il tour il Laguna, le rarità da grande schermo, insomma in agosto Grado diventa una Venezia in miniatura. Rammenta Daniela Volpe: «Proprio in quei giorni svelò la volontà di fare il suo ultimo film Le rose del deserto, una dedica speciale all’amico viareggino Sergio Tobino, scrittore e poeta che scrisse Il deserto della Libia. Ma nessuno la voleva finanziare quell’opera. Poi, per fortuna, il progetto fu realizzato, ma Monicelli non si dava pace per quell’affronto».
E così, l’anno successivo, il Cec lo invitò a presentarlo, Le rose del deserto. «Il viaggio dall’aeroporto a Udine - racconta Thomas Bertacche - fu un incubo per Alessandro Haber (uno degli interpreti, ndr). Monicelli, ben conoscendo il lato debole di Alessandro, lo punzecchiò tutta la strada, assistendo felice alle sfuriate dell’attore». Un burlone magnifico. In fondo, Amici miei è la proiezione filmica della voglia irresistibile di provocare il prossimo. E come un Merletti o un Perozzi qualunque, adorava stupire tutti con il tormentone preferito: «Soltanto gli stronzi muoiono».
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