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"Non c’è spazio per mediare", braccio di ferro giudiziario

I “ribelli” non prenderanno parte nemmeno al tavolo sulla Specialità di Pezzetta. E un paio di sindaci si spingono addirittura a minacciare l’uscita dall’Anci

di Maura Delle Case
2 minuti di lettura

UDINE. Tempo scaduto. Sulla riforma degli enti locali i sindaci che hanno fatto ricorso al Tar non intendono più mediare. E si preparano ad andare fino in fondo nel braccio di ferro giudiziario contro la Regione. Convinti che quella sulle Uti sia «una battaglia di libertà».

Il segnale arriva forte e chiaro da Pasian di Prato, dove mercoledì sera gli amministratori contrari alle Unioni, riuniti per fare strategia, hanno respinto ogni nuova possibilità di dialogo. Non prenderanno parte al tavolo sulla Specialità proposto dal leader di Anci Fvg Mario Pezzetta. Pronti ad andare dritti per la propria strada. Anche a costo di uscire da Anci come intende fare a stretto giro il sindaco di Corno di Rosazzo che invita i colleghi a seguire le sue orme.

«Anci non mi rappresenta - afferma Daniele Moschioni - e per questo intendo condividere con la mia giunta la sospensione del pagamento della quota associativa». Non è il primo a fare questa scelta. Resia si è chiamata fuori ormai tre anni fa e in Anci non intende rientrare. «Almeno finché - puntualizza il primo cittadino Sergio Chinese - finirà questa pantomima sulla riforma. Capisco la posizione di Pezzetta, ma ogni tanto ci vuole un atto di coraggio e non mi riferisco solo alla legge 26».

Il rischio è quello di un terremoto che cerca di evitare il tarvisiano Renato Carlantoni ricordando come Anci «rappresenta 216 municipi e in frangenti come questo non può prendere una posizione netta». Difeso Pezzetta, anche Carlantoni rispedisce al mittente la proposta: «Il presidente non può pensare che a fronte delle continue provocazioni dell’assessore Panontin, che gioca al western, pensando forse di essere in un film di Sergio Leone, noi ci si sieda collaborativi a un tavolo. Ormai è tardi».

Quanto al futuro della Regione autonoma, «riteniamo che a decretarne la morte siano proprio le Uti e che il nostro ricorso sia un pilastro per la difesa della Specialità di questa Regione. L’azzeramento dei campanili - aggiunge il sindaco - rappresenta invece la globalizzazione delle autonomie, è in piccolo lo stesso copione che stiamo leggendo nel grande con le macroregioni».

Reduce dall’assemblea straordinaria di Anci - ospitata sempre mercoledì a Pasian di Prato, appena qualche ora prima - è stato il primo cittadino di Santa Maria La Longa, Igor Treleani, a proporre il boicottaggio del tavolo proposto da Pezzetta.

«In questo momento che senso ha? Sembra quasi che dietro la proposta ci sia la longa manus dell’assessore che attraverso Anci vuole concederci un’apertura». «La rigettiamo - rilancia Treleani -. In toto. Non ci interessano modifiche che avrebbero l’unico effetto di “pastrocciare” una legge nata male, che non condividiamo a partire dai presupposti e quindi ci prepariamo a contrastare nelle aule giudiziarie. Proseguiremo ligi e duri con i ricorsi».

A questo proposito, l’assemblea di mercoledì - cui hanno preso parte una 40ina di amministratori - ha consentito di fare un po’ di strategia e delineare le prossime mosse, complice la presenza dei due legali Enrico Bulfone e Teresa Billiani.

«Ci prepariamo a notificare 27 nuovi ricorsi, uno per ogni Comune commissariato nell’ambito delle proposte di statuto bocciate da 6 delle 18 Unioni territoriali intercomunali. E altrettanto faremo - ha annunciato l’avvocato Billiani - con le prossime nomine commissariali per i 56 Comuni che hanno bocciato o stanno bocciando lo statuto in consiglio comunale».

Cinquantasei cui se ne sono aggiunti diversi altri che pur non avendo ricorso al Tar in assemblea civica hanno votato contro gli atti propedeutici alla nascita delle Unioni. Vedi San Daniele, Cividale, Sutrio, Ovaro solo per citarne alcuni.

«Lo hanno fatto trasversalmente alle appartenenze politiche», rivendicano i sindaci ricorrenti, stufi d’essere chiamati in causa per la tessera di partito che qualcuno di loro ha in tasca e non per il merito delle critiche mosse alla riforma.

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