Ivana Morgante racconta il suo dolore di madre che ha perso le figlie
Il terremoto del Friuli 40 anni dopo. Avevano 15 e 14 anni. Margherita morì sotto le macerie, Chiara in ospedale. : «Il terremoto ha strappato le loro vite. Ogni giorno mi chiedo perché»
di Flavia VirilliMAGNANO La perdita dei figli è un dolore inaccettabile, innaturale, che un genitore non dovrebbe mai provare, ma quella sera di maggio di 40 anni fa il terremoto non conobbe pietà.
A Magnano in Riviera si portò via Chiara e Margherita Toso, rispettivamente di 15 e 14 anni, e con loro se ne andò per sempre anche il sorriso di Ivana Morgante, la madre che ancora oggi si chiede «perché?».
«Chiara e Margherita, le mie figlie, erano tutto per me - racconta commossa Ivana che da alcuni anni ha perso anche il marito -. La mia vita si è fermata quella notte, da allora non passa giorno senza che mi chieda perché sia successo, perché mi sia salvata io e non loro».
La sera del 6 maggio 1976 Chiara e Margherita erano nella loro camera, in via Roma. Quando ci fu la prima scossa, Ivana e il marito Vincenzo, che si trovavano al pianterreno, uscirono istintivamente in cortile.
Anche le loro figlie si allarmarono e, assieme alla nonna, Dirce Vuanello, si incamminarono verso l’uscita. Giunte sulla porta, la nonna disse alle nipoti «andate avanti voi che siete giovani».
Fu un attimo. La più tragica delle fatalità volle che, mentre le due sorelle erano sull’uscio, la seconda scossa facesse crollare il terrazzino sovrastante, seppellendole all’istante.
A questo punto il racconto di Ivana si interrompe, piange, non è possibile affidare alle parole un dolore così straziante.
Tuttavia, pur se con gli occhi traboccanti di lacrime, Ivana continua a ricordare quegli attimi di orrore: «Eravamo sconvolti. Io e mio marito ci mettemmo subito a scavare a mani nude per cercare di salvarle. Di lì a poco arrivarono in nostro aiuto anche i vicini, Giorgio Mattiussi con la sorella Carla. Capimmo subito che per Margherita, la più giovane, non c’era nulla da fare. Purtroppo riuscirono a estrarla dalle macerie solo la mattina seguente. Mi sembrava di impazzire ma, non so come, restai lucida, c’erano ancora speranze per Chiara».
Quando la liberarono si resero immediatamente conto che la ragazza era gravissima. Si affrettarono a caricarla sull’auto di Giorgio e, a fatica, raggiunsero la strada statale in cerca di aiuto. Attesero un po’ nei campi ma riuscirono presto a fermare una camionetta militare che transitava sulla Pontebbana.
I militari presero con loro Chiara e Ivana e si precipitarono all’ospedale di Udine. Non fu per nulla facile raggiungere il Santa Maria: le strade erano intasate e il mezzo incontrò numerosi divieti e ostacoli, dovendo ricorrere a strade secondarie e ritardando inesorabilmente l’arrivo al nosocomio udinese.
«Giunti in ospedale - prosegue Ivana - medici e infermieri presero subito Chiara e la portarono via, urlando di fare presto, perché la situazione era grave e lei era molto giovane. Le porte si chiusero e io rimasi in un angolo. Ero stordita, impaurita, sola. Mio marito era rimasto a Magnano, Margherita era ancora sotto le macerie».
In quella sala d’aspetto il tempo scorreva lento e Ivana non riusciva a darsi pace. Attorno a lei scene drammatiche: feriti stesi nei corridoi, gente che veniva scaricata anche dai tetti delle automobili, disperazione ovunque.
«Continuavo a chiedere di Chiara - prosegue Ivana, trattenendo a stento le lacrime - ma nessuno sapeva nulla di lei. A un certo punto mi venne incontro un medico, mi guardò e non ebbe il coraggio di dire nulla. È morta vero? Lo anticipai io. Era quello che in cuor mio avevo temuto sin dall’inizio. Lui, impotente, annuì col capo. Mi disse che avevano fatto tutto il possibile ma che i traumi all’addome erano stati fatali».
Smarrita e distrutta, per Ivana nulla aveva più senso. In pochi minuti aveva perso due figlie. Ricevette il conforto di don Mario Del Negro, l’allora cappellano del Forlanini.
«Gli sarò per sempre grata - aggiunge - mi stette vicino nel momento più difficile della mia vita». Fu lui a riaccompagnarla a casa dai suoi genitori a Molinis, sopra Tarcento. Quella notte non riusciva proprio a tornare a Magnano, il vuoto che lì la attendeva l’avrebbe sopraffatta.
È esemplare la dignità con cui Ivana Morgante continua a portare il suo pesante fardello. La fede le è stata d’aiuto, permettendole di continuare a vivere anche quando la disperazione era insopportabile.
«Penso alle mie figlie e mi chiedo come sarebbero oggi - confessa -. Quando, nel dopo terremoto, abitavo a Udine, le vedevo nei ragazzini che uscivano da scuola. Chiara frequentava l’istituto magistrale arcivescovile e Margherita la terza media alla Manzoni. Oggi, invece, le immagino come donne mature, chissà cosa sarebbero diventate, che lavoro avrebbero fatto».
Domande alle quali non è possibile rispondere. Dopo 40 anni, resta un’unica certezza: l’amore di una madre, sconfinato, immutabile, il solo in grado di tenere vivo il ricordo di Chiara e Margherita.
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