La stirpe dei Candolini ha saputo coniugare rigore e passione civile
Agostino fondò il movimento di Sturzo dopo la Grande guerra Il figlio Angelo ricordato per l’impegno come sindaco di Udine
di PAOLO MEDEOSSI
C’è un viale a Udine dedicato a padre e figlio, Agostino e Angelo Candolini. Stavolta la toponomastica cittadina ha svolto bene il suo compito e non è un aspetto poco significativo: attraverso i nomi che si danno a strade e piazze è possibile percepire sentimenti e spirito sincero di una comunità. Il viale Candolini porta allo stadio Friuli ed è anche un tributo alla passione calcistica di Angelo, giocatorino scatenato quando frequentava il liceo Stellini e sfidava in via Cairoli Luciano Provini e gli altri suoi amici, mentre da sindaco ebbe una parte notevole per far crescere l’Udinese ai tempi di Sanson e Mazza.
Adesso il ritorno in città di Ciriaco De Mita, per alcune iniziative legate alla Dc e ai protagonisti di allora, fa riaffiorare il ricordo di una famiglia rilevante nella nostra storia, in quasi tutto il Novecento. Diversi per carattere, attitudine, personalità, modi di fare, Agostino e Angelo hanno interpretato il ruolo di politici e amministratori con lo stesso rigore ed enorme passione.
La loro vicenda ripercorre quella dei cattolici che si sono impegnati nella politica italiana in un’epoca per nulla agevole viste le contrapposizioni tra Savoia e Vaticano senza scordare che Udine aveva una forte tradizione radical risorgimentale.
Papà Agostino, nato nel 1885 a Platischis, dove il padre originario di Interneppo faceva il segretario comunale, partecipò prima della Grande Guerra alla nascita del partito che si ispirava a don Sturzo e a quella delle leghe bianche come forma di sindacalismo bianco. Laureatosi in giurisprudenza, fu eletto sindaco di Tarcento mentre alla fine del conflitto divenne presidente della Deputazione provinciale, spazzata via dall’avvento mussoliniano, davanti al quale Candolini non cedette mai tra ripensamenti o compromessi.
Nemmeno dopo il Concordato del 1929 mostrò un compiaciuto adeguamento verso la dittatura come accadde ad altri cattolici. Si dedicò così alla moglie Vilma, ai cinque figli, al lavoro di avvocato e alla distilleria di famiglia, fondata a Tarcento nel 1898 dalla mamma Domenica. Fu inoltre attivo nell’Azione cattolica visto anche il passato di studente entrato in contatto con il maggior centro culturale friulano a inizio secolo, che era proprio il seminario di Udine.
La famiglia Candolini (come racconta Roberto Tirelli in un libro dedicato ai giorni e alle notti di Angelo) si presentava come il tradizionale nucleo friulano, fondato su forte solidarietà e condivisione, su assoluta integrità morale e su una spiccata riservatezza. L’unico a rompere un po’ lo schema era Angelo, nato nel 1928, con la sua esuberanza alla quale non venne mai meno, nemmeno da sindaco. Di lui gli udinesi sanno tutto perché resta forte (e tale aspetto pare incredibile a oltre 30 anni dalla scomparsa) il ricordo di battute, abitudini, gesti, interventi originali. All’inizio il ragazzo, che con allegro impegno aveva frequentato lo Stellini, pareva indeciso sulla via da scegliere. A un certo punto pensò al giornalismo, poi addirittura a diventare prete (“Ma Angelo - disse la mamma - va in semin. ario solo se gli garantiscono che lo fanno Papa”), infine optò per un cammino simile al padre: laurea in giurisprudenza, studio legale e poi la distilleria di famiglia che a fine anni Quaranta venne trasferita a Gorizia.
Anche al momento di andar militare ebbe un’idea strana: pur essendo laureato, fece l’alpino semplice e alle sfilate dell’Ana non mancava mai, confermando l’approccio popolare verso tutto ciò che si poteva vivere genuinamente alla friulana, dentro però una cultura moderna e curiosa, formatasi a Milano negli anni dell’università Cattolica. Fu un periodo fondamentale di incontri e amicizie, tra cui quella con De Mita, che da Nusco, provincia di Avellino, era salito nelle nebbie lombarde per laurearsi. Altri compagni erano Bressani, Fioret, Misasi, Bianco, Carta, tutti ragazzi che faranno strada nella Dc.
Papà Agostino era spiato e controllato per l’atteggiamento freddo nei confronti del fascismo. Già il 26 luglio 1943, dopo la caduta di Mussolini, formò a Udine il comitato promotore della Democrazia cristiana, assieme a Tessitori, Barbina, Schiratti, poi convocati a Venezia per concordare i rapporti con monarchia e Vaticano nella nuova situazione. Candolini partecipò pure al Comitato di Liberazione e venne arrestato dai nazisti che lo rinchiusero a Trieste. A guerra finita, il Cln si costituì in giunta provinciale e l’avvocato di Platischis fu nominato prefetto di Udine, carica che conservò fino al 1947 quando venne nuovamente scelto dal governo italiano succeduto a quello alleato.
In seguito divenne presidente della Provincia, confermato anche nelle elezioni del 1951, 1956 e 1960. Concreto, pragmatico, lucido, guidò il Friuli (Udine e Pordenone formavano un’unica Provincia) in un periodo cruciale prendendo decisioni strategiche, come quella sul tracciato dell’autostrada. Agostino aveva però un cruccio, l’inquietudine del figlio, e un giorno disse al suo segretario che si scusava per un piccolo ritardo: “Si figuri, aspetto mio figlio da tre giorni e non so dove sia”.
Angelo entrò in politica solamente quando il padre decise di ritirarsi nel 1964, prima da consigliere comunale e poi da iscritto alla Democrazia cristiana. Vi entrò insomma in punta di piedi affrontando dal basso tutta la gavetta, come si usava quella volta. Dal tempo dei popolari di Sturzo il mondo era molto cambiato. Il partito era ormai fatto di correnti e Candolini junior scelse Aldo Moro, che aveva un seguito fortissimo in regione.
Raccontando queste storie non si fa archeologia nostalgica, ma si evocano personaggi che superarono grandi difficoltà con visione e competenza politica accompagnata da profonda cultura e riconosciuto rigore, requisiti necessari per proporre poi un’idea credibile di solidarietà e libertà. Anche per tale motivo, nell’ottobre del 1985, il dolore coinvolse tutti ai funerali, anche chi non aveva mai votato per quel “sindic”. Lo stile non ha bisogno di simboli, sigle o tessere. Quando c’è c’è.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
I commenti dei lettori