Fabbriche dopo il sisma, modello Friuli replicato in Centro Italia
Come in regione nel ’76, alla Tigamaro di Tolentino nelle Marche gli operai sono subito rientrati. Le famiglie vivono in azienda
UDINE. Quando il sisma si porta via tutto l’onda d’urto emotiva rischia di lasciarti attonito. E’ un sentimento che nell’Italia del fare non dura però a lungo, soppiantato in fretta da una voglia di rivalsa il cui vento, poche ore dopo il sisma, ha già preso a soffiare tra gli sfollati delle Marche, dell’Umbria e del Lazio che nel lavoro hanno trovato un bene rifugio.
La speranza cui aggrapparsi per ripartire. L’hanno fatto esattamente come il 7 maggio 1976 fecero i friulani: presentandosi ai cancelli delle proprie aziende e offrendo ai “padroni” braccia e cuore per rimettere in moto le produzioni.
E’ accaduto alla Tigamaro di Tolentino, azienda della provincia di Macerata che produce accessori in pelle per i big della moda italiana: Prada, Armani, Fendi. Il terremoto ha messo in ginocchio il paese.
Lasciato migliaia di persone senza un tetto. Con tali e tanti problemi da affrontare che il vicentino Luca Bortolami, proprietario dell’azienda da un paio d’anni, mai avrebbe pensato fosse possibile accantonare a beneficio del lavoro.
L’hanno invece fatto i suoi dipendenti, presentandosi - ben in 30 su 110 - regolarmente ai cancelli dell’azienda il giorno dopo. Perché quando il terremoto ti porta via tutto, il lavoro diventa un’ancora di salvezza.
Prima di Bortolami l’avevano scoperto i nostri industriali: Andrea Pittini, Marco Fantoni, Rino Snaidero. La sera del 6 maggio 1976 l’Orcolat aveva colpito duro anche le loro aziende, rendendole inservibili. Sarebbero rimaste tali se il giorno dopo, anche davanti ai loro cancelli, non si fossero presentati invece i lavoratori.
Il cavalier Pittini lo raccontava sempre, con orgoglio, ricordando di come lui stesso per infondere coraggio ai suoi uomini avesse avuto l’ardire di piazzarsi in un ufficio pericolante. In poche settimane l’attività era ripresa. Anche grazie alla determinazione di Pittini che aveva fatto della fabbrica, a Osoppo, un piccolo microcosmo autonomo.
«Senza un centesimo di aiuto pubblico» teneva a precisare. Ogni mattina lo stabilimento si ripopolava della gente sfollata nelle località balneari, che faceva avanti e indietro in pullman, e di quella che invece si era accampata alla bell’e meglio tutto intorno.
Prima nelle tende, poi nei container. «Non ne aveva mai abbastanza. Abbiamo fatto certe litigate» ha raccontato a più riprese, divertito a distanza di anni, il commissario straordinario Giuseppe Zamberletti a proposito della continua richiesta di container da parte del Cavaliere.
Sono trascorsi 40 anni da allora, ma la reazione dei lavoratori in forze alla Tigamaro risponde a sentimenti ed esigenze simili a quelli dei friulani di allora che Bortolami ha compreso e assecondato trasformando la sua impresa nel fulcro di una quotidianità tutta nuova per i dipendenti e le loro famiglie.
Così, mentre le mamme lavorano, i bambini giocano in quella che prima del sisma era la showroom. Quando cala il sole, riposti i ferri del mestiere, l’azienda cambia ancora diventando un grande dormitorio.
Nella tragedia che si è abbattuta sul Centro Italia il caso dei lavoratori di Tolentino ha il sapore di una favola, scritta con gli ingredienti che fanno grande la manifattura in Italia.
Uno su tutti: le persone che prestano mani e ingegno alle imprese. «I lavoratori sono la vera grande ricchezza delle aziende - afferma Bortolami -. Se non lo capiamo non andiamo da nessun’altra parte». Parole che rimandano ancora una volta al Friuli di 40 anni fa.
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