Contributi non dovuti, deve restituire 160 mila euro alla Cciaa
Imprenditore condannato dalla Corte dei Conti. Ottenne fondi per un capannone. Mai iniziati i lavori. Fatture false e fidejussione fasulla per avere il finanziamento
UDINE. Aveva ottenuto dalla Camera di commercio di Udine 160 mila euro di contributo per l’efficientamento energetico del capannone della sua ditta. Ora la Corte dei Conti lo condanna a restituire l’intera somma e a pagare le spese processuali.
Perchè? Gianfranco Ventre, 53 anni, amministratore unico della Naturalcasa srl, non ha mai effettuato i lavori per i quali aveva ottenuto i fondi. Di più: non era proprietario del capannone, dal quale era stato sfrattato per morosità. Aveva presentato, a corredo delle richieste della Cciaa, false fatture che avrebbero dovuto dimostrare l’avvio dei lavori. Infine, per ottenere la liquidazione anticipata di buona parte del finanziamento aveva prodotto una polizza fidejussoria senza valore, garantita da una società cancellata dall’elenco degli intermediari finanziari.
Contributi per 400 mila euro
Ventre e la Naturalcasa - poi fallita - avevano ottenuto, tra il 2012 e il 2014, contributi per 400 mila euro. La Cciaa, nell’ambito delle linee d’intervento sulla sostenibilità ambientale del Por-Fesr 2007/2013, aveva accordato un contributo da 200 mila euro (159.998,19 dei quali erogati a titolo di acconto nel gennaio 2013), ai quali si sono aggiunti 268 mila euro ottenuti da Mediocredito centrale spa.
Sfratto e fatture false
Come riportato nella sentenza della magistratura contabile, le indagini del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza hanno accertato che l’immobile in cui aveva sede la Naturalcasa - al centro dei progetti presentati per l’ottenimento del contributo della Cciaa - era soltanto in affitto e l’atto allegato alla richiesta era firmato dalla prima proprietaria del capannone, che aveva ceduto la struttura due anni prima.
Naturalcasa, peraltro, era stata sfrattata dallo stabilimento per morosità e il contratto di locazione era stato risolto per inadempimento. «Nessuno di questi elementi è stato rappresentato dal Ventre alla Cciaa di Udine – si legge nella sentenza –, costituendo un’omissione grave e decisiva, strumentale a consentire il perfezionamento della procedura di erogazione del contributo contestato». L’azienda, insomma, non disponeva più del capannone oggetto dell’intervento di ammodernamento.
Intervento, peraltro, mai realmente iniziato: è emersa durante le indagini la presenza di fatture false. In un caso i finanzieri hanno accertato la totale assenza di prestazioni effettuate, mentre in un altro caso i lavori non erano direttamente collegabili al progetto di miglioramento dello stabilimento.
La fidejussione
Altri due elementi. La polizza fidejussoria presentata per ottenere l’erogazione dell’anticipo del contributo dalla Cciaa è risultata essere «sostanzialmente truffaldina». Le indagini hanno permesso di scoprire che la società garante, la Fideas spa, non risultava tra le imprese legittimate a prestare garanzia verso gli enti pubblici ed era stata cancellata dall’elenco degli intermediari finanziari per gravi violazioni, prima di fallire nel 2014.
Un altro aspetto sul quale hanno lavorato gli inquirenti, il trasferimento di 153 mila euro (su 160 mila del contributo) dal conto della Naturalcasa a quello personale di Ventre: il bonifico è stato autorizzato il 31 gennaio 2013, il giorno dopo la liquidazione della Cciaa, con causale “restituzione finanziamento socio Ventre Gianfranco”. Da qui la condanna alla restituzione dell’intero importo percepito dalla Camera di commercio.
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