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Energia

Quali sono le 7 centrali a carbone italiane che Draghi potrebbe riaprire per compensare il gas russo

Quali sono le 7 centrali a carbone italiane che Draghi potrebbe riaprire per compensare il gas russo
(agf)
Dopo l'invasione dell'Ucraina, il presidente del Consiglio non esclude la possibilità di riaprire le strutture che erano state dismesse o erano in via di conversione
3 minuti di lettura

"Potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell'immediato. Il governo è pronto a intervenire per calmierare ulteriormente il prezzo dell'energia, ove questo fosse necessario". Il presidente del Consiglio Mario Draghi apre la possibilità di tornare, momentaneamente, al carbone nel caso in cui la Russia chiudesse le forniture di gas dopo l'invasione dell'Ucraina.

Le centrali a carbone in Italia sono sette e, secondo il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (Pniec) del ministero dello Sviluppo Economico, dovranno essere dismesse o convertite entro la fine del 2025. Se ne contano due in Sardegna e una in Liguria, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lazio e Puglia. Cinque di queste sono gestite da Enel, una da A2A e una da EP Produzione, costola italiana del gruppo cecoslovacco EPH.

La centrale termoelettrica Eugenio Montale di Vallegrande (La Spezia) è gestita da Enel. L'impianto è stato inaugurato 60 anni fa, dall'allora presidente della Repubblica Antonio Segni e, in virtù della potenza installata di 1.835 megawatt (MW), si è a lungo fregiato del titolo di centrale più grande d'Italia e oggi vive una situazione delicata: Enel ha chiesto di dismettere la centrale a partire dal primo gennaio 2021, incassando il parere avverso del ministero dello Sviluppo Economico. Enel precedentemente si era già aggiudicata la fornitura di energia elettrica prodotta dagli impianti a gas che avrebbe costruito, contando sul fatto che il governo non avrebbe ostacolato il processo di conversione.

Tra le centrali a carbone gestite da Enel figura anche quella di Torrevaldaliga Nord (Civitavecchia), che Legambiente ha dichiarato essere "il nemico del clima numero uno nel Lazio", chiedendo che venga convertita in un polo delle energie rinnovabili e non in una centrale a gas. La centrale, che ha una potenza produttiva di 1.980 MW, produce in un anno 8,1 milioni di tonnellate di CO2 e da, sola, copre il 78% delle emissioni per la produzione energetica dell'intera Regione. Enel intende percorrere la strada della conversione al turbogas.
Fusina (Venezia) la centrale Andrea Palladio è già sulla strada della conversione al gas. Edificata a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, la centrale ha una potenza installata di 976 MW. Enel ha chiesto e ottenuto di dismettere due delle quattro unità di produzione della centrale. A luglio del 2020 Enel Produzione S.p.A., azienda che fa capo a Enel S.p.A., ha indetto un bando per la riprogettazione della centrale con focus sulla valorizzazione architettonica e paesaggistica.

Della centrale Federico II di Cerano (Brindisi), pure gestita da Enel, restano attive tre delle quattro unità produttive. Un colosso per capacità di produzione (2.640 MW) e per emissione di anidride carbonica. Enel vuole convertirla al funzionamento con metano: i dati in nostro possesso sono preziosi per comprendere il concetto di rendimento energetico. La Federico II ha attualmente un rendimento energetico, ossia la differenza tra l'energia in entrata e quella in uscita, del 40%. Più o meno mille megawatt. Dopo la conversione si stima che la capacità sarà di 1.680 MW il cui rendimento sarà paragonabile a quello attuale ma con un taglio delle emissioni di almeno il 50%.
La centrale Grazia Deledda di Portoscuso (Carbonia-Iglesias, Sardegna) il cui destino non è ancora definito, turba il sonno del Gruppo d'intervento giuridico odv, associazione ecologista che antepone la salute dell'uomo al lavoro, peraltro in un territorio altamente inquinato. Sia Terna sia il ministero dello Sviluppo Economico ritengono che la centrale, con i suoi 320 MW di potenza, non sia più essenziale per il fabbisogno energetico del Paese.

L'altra centrale sarda, la Fiume Santo di Porto Torres (Sassari) gestita da Ep Produzione, è pure oggetto delle tensioni sindacali che ostacolano la rinuncia al carbone. 599 MW di potenza e un futuro incerto. La Sardegna non è raggiunta da gasdotti che trasportano metano e l'idea di importarne dall'Algeria è stata fortemente osteggiata dagli ambientalisti. La conversione orientata al gas e alle biomasse è un'opzione percorribile ma il dado non è ancora tratto.

A2A, utility con quartiere generale a Milano, pianifica la chiusura della centrale di Monfalcone (Gorizia), che ha già incassato le autorizzazioni per la conversione al gas metano e all'idrogeno sul modello di quella di Lamarmora di Brescia.
Non sarebbe la prima volta che le centrali vengono riaperte. Anche a inizio dicembre 2021 due impianti appena chiusi, quello Enel di La Spezia e quello A2A di Monfalcone, erano stati rimessi in funzione per pochi giorni per far fronte a un possibile rischio di blackout causato da un'impennata della domanda, dal rialzo del prezzo del gas e dal blocco di 4 centrali nucleari francesi.