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Le rivoluzioni di maggio: Marx e la festa dei lavoratori

Il pensatore di Treviri (1818) infiammò il mondo additando le contraddizioni del capitalismo Con Engels fu il primo a esigere limiti al lavoro quotidiano, grande passo verso l’emancipazione

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Il 5 maggio è una data che, in genere, ricordiamo per due eventi: la morte di Napoleone (1821) e la partenza dei Mille (1860). Ma è anche il giorno di nascita di Karl Marx, 200 anni fa: a celebrarla, fra le varie iniziative, anche il film “Il giovane Marx”, che narra una storia di passione politica, di impegno, di rivoluzione, di amicizia e d’amore: evidentemente, il regista haitiano Raoul Peck ha ritenuto che il modo migliore per cogliere l’essenza del grande (perché tale fu, a prescindere dai giudizi di contenuto) pensatore di Treviri, senza più considerarlo un tabù, fosse quello di esplorarne l’ardore giovanile, lo slancio originario: «Ho acquistato consapevolezza della vera opera di Marx, e non del suo dogma», ha dichiarato Peck.

Durante la Prima Internazionale, Marx ed Engels dichiararono che la limitazione della giornata lavorativa era una condizione senza cui sarebbe fallito ogni altro sforzo di emancipazione. Fu poi la Seconda Internazionale a proclamare, nel 1889, la Giornata internazionale dei lavoratori, scegliendo il primo maggio in memoria della brutale repressione subita, nel 1886, dagli operai di Chicago che manifestavano per le otto ore. Nonostante la dura risposta di molti governi, il Primo maggio 1890 registrò un’altissima adesione in molti Paesi. In Italia la ricorrenza, introdotta ufficialmente nel 1891, fu soppressa nel Ventennio e ripristinata con la Liberazione, nel 1945. Tra Festa del lavoro e Liberazione, dunque, il nesso è forte. E, curiosamente, Udine fu liberata proprio il 1° maggio.

Ma torniamo a Marx, riscoperto anche da economisti e da critici dell’alta finanza. Il fallimento delle sue profezie non impedisce né di rivalutare la denuncia delle contraddizioni del capitalismo che ancora oggi, in forme diverse, sono sotto i nostri occhi, né di riflettere sull’attualità (e non solo l’inattualità) del pensiero di Marx, distinguendolo da quello dei seguaci, in specie i più dogmatici. Prendendo spunto da queste considerazioni, un modo per avvicinarsi al primo sviluppo del socialismo in Friuli è quello di consultare presso la Biblioteca civica Joppi di Udine il settimanale socialista “Il Lavoratore Friulano” (nel quale spicca il nome prestigioso di Giovanni Cosattini).

Nato nel 1904, questo giornale fu preceduto da altre testate dalla vita breve – “L’Avvenire”, “L’Evo nuovo”, l’“Operaio” – che, dai primi anni Novanta dell’Ottocento, testimoniarono degli “Albori del socialismo in Friuli” (così s’intitolava un pregevole saggio di Tiziano Tessitori del 1966). Dopo l’interruzione causata dalla guerra, il “Lavoratore” riprese le pubblicazioni sinché, sotto il fascismo, fu costretto a chiudere nel 1925. La sua fu comunque una vita lunga e combattiva, in veemente polemica con le altre testate locali e la Chiesa, al punto di scrivere «Gesù Cristo è il più grande avversario dei preti» e pubblicare a puntate il Vangelo per contrapporre i principi genuini del cristianesimo a quelli cattolici. Fra le tante cose, criticò aspramente la campagna di Libia del 1911-12 e difese la tesi neutralista allo scoppio della Grande Guerra. Sul numero d’esordio affermava che «solo il partito socialista» poteva «attrarre e raccogliere attorno a sé le istintive e indistinte aspirazioni dei lavoratori», indicando loro tanto «la visione d’un assetto sociale più equo e d’una società più perfetta, dimostrate possibili dalla scienza economica», quanto, dopo una «lunga e faticosa lotta», un traguardo «di pace e di giustizia».

Negli anni, i progressi fatti spingevano a enfatizzare la «marcia ascendente» di una forza politica che, sorta «fra lo scherno dei potenti e la diffidenza delle masse», era riuscita «a poco a poco ad affermarsi sulla base della lotta di classe, impugnando la bandiera delle rivendicazioni proletarie».

Poi il conflitto, la Rivoluzione bolscevica e il fascismo mutarono radicalmente l’intero scenario.

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