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Garlini ricorda il poeta Cappello e la loro grande amicizia

Nel 1997 i due intellettuali s’incontrarono nell’amideria Chiozza a Perteole. Lo scrittore presenta il suo romanzo che racconta quella collaborazione

2 minuti di lettura

UDINE. L’amicizia tra i poeti può cominciare nei luoghi più inattesi e impervi, anche dentro una vecchia fabbrica diroccata, persa nel buio della campagna friulana.

Il bello dei poeti è proprio questo: pochi se ne occupano, ma nessuno li ingabbia e li intrappola, perché loro agiscono nell’ambito del più assoluto disinteresse, quasi fossero adepti di una misteriosa aristocrazia che agisce secondo un suo codice, ignoto agli altri. I poeti si riconoscono, si fiutano e di solito non sbagliano obiettivo e giudizio.

Tutto questo avvenne anche in una sera di inizio 1997 a Perteole di Ruda nella vecchia amideria appartenuta al chimico di origine triestina Luigi Chiozza, un galantuomo arrivato in Friuli a metà Ottocento dopo aver lasciato Milano, dove dirigeva una scuola, per il dolore causatogli dalla morte della giovane moglie, nella cui storia c’è un richiamo letterario in quanto si trattava di Pisana di Prampero, proprio la Pisana a cui si ispirò Ippolito Nievo per l’eroina delle sue “Confessioni di un italiano”. Ippolito e Pisana erano amici da ragazzini quando vivevano a Udine e lei morì a seguito di un parto mentre lui stava scrivendo il suo romanzo.

Storie che i poeti in quella sera del 1997 non conoscevano. C’era per loro ben altro in gioco. C’era, pur vivendola in una invisibile situazione di provincia, la possibilità di rivelare quanto dentro di sé sentivano di essere, anche se nessun altro lo sapeva, e forse non lo avrebbe mai saputo.

Questa scena è narrata nei minimi dettagli in apertura del romanzo “Il canto dell’ippopotamo”, uscito un paio di mesi fa e in cui lo scrittore Alberto Garlini (parmense ora diventato pordenonese dopo un periodo di vita cervignanese) narra la sua amicizia con Pierluigi Cappello, il poeta di Chiusaforte che ha avuto la straordinaria intuizione delle “parole povere”.

L’incontro, abbastanza casuale durante la serata organizzata nell’amideria di Perteole, segnò l’inizio di un colloquio intenso, quasi di un destino su cui ragionare e discutere, fino al primo ottobre del 2017 quando Pierluigi si è spento nella sua casa di Cassacco.

Tutto ebbe inizio come Garlini racconta nel romanzo, in cui descrive così l’amico per sempre: “Aveva un sorriso gentile, ma era come se stesse dentro una campana di vetro. Voleva comunicarci di essere simile a noi, ma con l’atteggiamento di chi non voleva assolutamente essere simile a noi. Non che lo schifasse essere come noi: c’era una differenza, ed era da ipocriti nasconderla”.

Fino a quella sera, Garlini e Cappello non si conoscevano. Sapevano l’uno dell’altro tramite chi li aveva letti e scoperti, Mario Turello. Insomma si scrutavano da lontano e a Perteole dovevano decidere: amicizia o no? Garlini ricorda: “Quando ho visto Pierluigi che, dopo aver letto le poesie, lasciava planare i fogli immerso nella luce e nei ghirigori di fumo della sigaretta, mi è stato chiaro che era il poeta più sensibile verso la parola che avessi mai incontrato”.

Una serata tanto speciale potrà essere rivissuta mercoledì 24 luglio, alle 20.30, quando “Il canto dell’ippopotamo”, sarà presentato proprio nell’amideria Chiozza, a cura dell’associazione intitolata alla vecchia fabbrica.

Riaffioreranno le atmosfere di allora con gli accompagnamenti musicali di Claudio Visintin e alcuni poeti della Fabbrica dei sensi (gruppo creato da Garlini negli anni Novanta a Cervignano), per cui sarà come entrare nelle pagine del libro in una sorta di viaggio temporale che trae ispirazione anche dagli opuscoli dove sono raccolti i versi letti quella sera.

Uno reca la prefazione di Cappello e si conclude così: “E che gli approdi possano essere benigni”. Non fu l’unica volta in cui Pierluigi apparve in amideria. Ci tornò il 18 ottobre 1997 portando il suo spettacolo dedicato alla Luna e ai Cercaluna. Esperienza da citare visti i giorni attuali di febbrile eccitazione lunare.

Anche in quella occasione la vecchia fabbrica si riempì di pubblico e Cappello lesse il suo splendido testo, tra attori, musicisti, pittori, danzatrici del ventre. Era un piccolo, bislacco mondo tenuto insieme dalla poesia. Titolo della serata: “Benvenuti sulla Luna”. Come sempre e dovunque apparisse il poeta. —


 

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