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La lotta per non perdere la cartiera di Ovaro, una battaglia che compattò tutta la Carnia

Il sindacalista Giuseppe Gori racconta in un volume la mobilitazione in Friuli dopo l’istanza di fallimento nel 1985

2 minuti di lettura

Tutta la valle, tutta la Carnia si strinse attorno alla cartiera di Ovaro che sorge vicino al ponte di San Martino, lungo il torrente Degano, principale realtà industriale della montagna oltre Tolmezzo, una manna in zone colpite nel Novecento da emigrazione e spopolamento.

Sembrava il drammatico epilogo di una storia unica e originale. Invece quell’istanza di fallimento, presentata dai lavoratori nel febbraio del 1985, fu l’inizio di una rinascita, conquistata con la passione, la tenacia e uno spirito di unione e concertazione come accadeva nel Friuli da ricostruire dopo il terremoto del ’76.

Anche le vibranti prediche domenicali di don Dentesano e don Cargnello erano diventate un efficace strumento di lotta e comunicazione. Tutti ne divennero così protagonisti, compresi gli scolari delle elementari, formando un movimento forte, solidale, che andava oltre ideologie o interessi di parte per far sentire la propria voce.

Raccontarlo oggi è utile e importante, perché spiega come si può uscire insieme dai momenti bui, con una giusta battaglia in grado di compattare razionalità e rivendicazioni.

Appunto ciò che avvenne nella Val Degano che aveva subìto la chiusura della fabbrica nell’ottobre del 1984, messa al tappeto dalle difficoltà di mercato e da un’incapacità gestionale manifestatasi dopo la scomparsa in pochi anni dei principali protagonisti dell’impresa. Impianti fermi a lungo, miseria nera, lo spettro d’un colpo di grazia, e invece il 14 aprile 1986 (presto saranno 35 anni) la storia ricominciò e continua tuttora, con un’oculatezza e una visione d’insieme, in un mondo pur diverso da allora, che non hanno certo scordato quella lezione, sociale e industriale.

Vicenda da analizzare e studiare traendone spunti anche attuali, perché non riguarda solamente la gente della zona, ma in genere tutti quanti si dibattono tra sfide di ogni tipo e tra tegole che arrivano addosso senza averne colpa.

Va allora narrata bene quella prova di orgoglio e partecipazione in Val Degano. Lo strumento per farlo ora c’è ed è un libro di quasi 400 pagine, edito dall’Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione. S’intitola Le lotte per il lavoro in Carnia. Il caso della cartiera di Ovaro e lo ha scritto Giuseppe Gori, sindacalista Cisl che seguì da vicino le sorti della fabbrica e che, partendo da una tesi di laurea in storia, discussa all’università di Udine, ha scritto un testo tra cronaca e saggio, di coinvolgente lettura, denso di notizie inedite, con la collaborazione di Claudio Lorenzini e Nicole Dao.

Le fonti sono rappresentate da straordinari archivi privati, come quelli di Bianca Agarinis Magrini ed Ezio Lepre, o da documentazione istituzionale e sindacale. Fondamentale pure la testimonianza dei protagonisti di allora, come Franco Fabris, Giulio Magrini, Silvio Moro, Giorgio Santuz, Eugenio Del Piero, Luigi Bonanni, Nicolino Dario, Giorgio Del Mestre, Franco Carlevaris e molti ancora.

Il libro di Gori inserisce quell’esperienza in un contesto storico, cominciando da inizio Novecento quando, attratto dalla disponibilità di boschi, acqua e manodopera a basso costo, il capitalismo veneziano, rappresentato da Giuseppe Volpi di Misurata (imprenditore che Mussolini aveva nominato ministro delle finanze), mise le mani sulla Carnia avviando una serie di attività, tra cui la cartiera di Ovaro che nel 1933 venne acquisita da Anna Erker Hocevar, “la Signorina” (come la chiamavano nella valle) di origini austriache che la gestì fino alla morte nel 1979.

Ed è un romanzo la sua esistenza, come quella di chi la affiancò: all’inizio il temuto ingegner Guglielmo Smith, e in seguito la coppia formata dall’ingegnere carnico Giovanni Michieli e dalla straordinaria segretaria amministrativa Sara Santuz. Nel 1986 la crisi, dopo la lotta di popolo e l’impegno concreto dimostrato da Regione, Assindustria e parti sociali, si risolse con l’arrivo dell’imprenditore Giovanni Dell’Aria Burani.

Da allora tutto è proseguito senza sussulti, grazie alla professionalità e al prezioso “mistîr” di chi ci lavora. La cartiera oggi si chiama Reno De Medici, fa parte del gruppo omonimo (primo produttore italiano e secondo europeo di cartoncino ricavato da materiale riciclato), acquisito nel 2008 dalla multinazionale canadese Cascades. I dipendenti sono 160 e il fatturato nel 2018 è arrivato a 47 milioni di euro.

Gori ha scritto questo libro (illuminante per conoscere la Carnia e comprendere come mai lì le cose sono andate in un certo modo) mantenendo una promessa fatta a Giorgio Ferigo che con il Povolar Ensemble aveva narrato così in musica il clima conflittuale creatosi dentro la fabbrica: “L’idea è diversa, ma uguale è il sudore. E tuttavia non c’è posto in cartiera per quelli del nostro partito...”. La canzone era del 1983 e si intitolava “Un emigrant”.

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