Premio Hemingway, Elena Cattaneo: «La scienza è sempre la bussola per affrontare le sfide senza farsi sviare»
Fabiana DallavalleLIGNANO. La 38esima edizione del Premio Hemingway torna in presenza venerdì 17 e sabato 18 giugno, al CinemaCity di Lignano Sabbiadoro, con un cartellone di incontri e straordinari protagonisti. Venerdì si parte alle 18.30 con Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, mentre alle 21 ci sarà l’atteso ritorno di Margaret Mazzantini.
Sabato, alle 17, la scienziata, accademica dei Lincei e senatrice a vita Elena Cattaneo, vincitrice del Premio Hemingway /Avventura del pensiero, dialogherà con Alberto Garlini.
A Elena Cattaneo, punto di riferimento per chi riconosce nel metodo scientifico il mezzo per produrre una conoscenza, abbiamo chiesto alcune anticipazioni sui contenuti del suo libro, Armarsi di scienza (Raffaello Cortina editore)
Partiamo dal titolo del suo libro. Perché armarsi di scienza?
«È un invito per tutti a farsi forza del metodo scientifico, a utilizzarlo come una bussola per affrontare con consapevolezza le sfide quotidiane e non lasciarsi confondere da opinioni, narrazioni o fake news».
Lei è scienziata e senatrice: negli ultimi due anni, con l’emergenza Covid, il confine tra scienza e politica è stato spesso confuso e fragile. In quale modo i due ambiti dovrebbero comunicare tra loro?
«La scienza può fornire dati ed evidenze basandosi su fatti documentati, è il suo ruolo sociale. La politica, invece, ha la responsabilità della decisione finale.
L’auspicio è che queste decisioni siano prese nell'interesse dei cittadini sulla base delle evidenze disponibili. Il rapporto tra decisori politici ed esperti sarebbe più facile se anche in Italia ci fossero, come in altri paesi, luoghi strutturati di dialogo e confronto».
Cosa significa fare scienza oggi?
«Vuol dire innanzitutto studiare ciò che ancora non si conosce, procedendo per prove ed errori, e guadagnare pezzi di conoscenza da mettere a disposizione di tutti.
Oggi, più che in passato, lo scienziato è chiamato anche a essere presente nel dibattito pubblico, a non lasciare spazi vuoti che rischiano di essere occupati da ciarlatani, a chiarire la differenza tra fatti e opinioni».
Nel suo libro scrive che per permettere alla scienza di contribuire concretamente alla costruzione di decisioni utili ai cittadini gli scienziati non devono essere sul libro paga di nessuno. È davvero possibile questo?
«Lo scienziato, per chiunque lavori, ha il diritto-dovere di non mentire su ciò che scopre e su ciò che studia. Il metodo della scienza richiede che si lascino parlare i dati, rifuggendo dalla propaganda, dagli allarmismi, dai tentativi di manipolazione delle prove. Tradire questi principi significa porsi al di fuori della scienza».
Nel secondo capitolo del suo libro “Non c’è libertà senza ricerca” parla di Giulio Regeni, dei molti ricercatori imprigionati in alcuni paesi del mondo. Cosa dovrebbe fare l’Europa per comunicare a questi uomini e alle donne di scienza privati della libertà che non sono stati dimenticati?
«Ogni Paese dove le libertà fondamentali vengono riconosciute e tutelate deve cercare di essere intransigente nel tenere alta l'attenzione sui luoghi in cui i diritti umani vengono traditi. La reclusione di un ricercatore, di chi coltiva la conoscenza, deve essere vissuta dalla comunità internazionale come un attacco al nostro modello di convivenza».
Alcune malattie non sono più intorno a noi. Senza i vaccini vedremmo ancora le tragiche conseguenze di poliomielite e vaiolo. Ma non vedendole ne abbiamo perso la percezione. C’è un modo per ricordare a tutti quanto la scienza ha cambiato le nostre vite? La scuola potrebbe-dovrebbe avere un ruolo di maggiore educazione alla scienza?
«Bisogna considerare e trasmettere il metodo scientifico non come “oggetto” di studio, bensì come uno strumento necessario da applicare a tutto ciò che si apprende, per alimentare lo spirito critico di ciascuno. Questo ci renderebbe cittadini capaci di prendere decisioni più consapevoli».
Lei scrive “Nei campi la scienza sconfigge l’ideologia”. Cosa significa?
«Che non si dovrebbe affidare la propria sussistenza alimentare a scelte ideologiche, ignorando o addirittura contraddicendo le evidenze scientifiche. Oggi le limitazioni alle importazioni, all'indomani dell'invasione russa dell'Ucraina, ci ricordano quanta autonomia colturale e produttiva abbiamo perso ostinandoci a vietare ai nostri agricoltori l'uso di metodi e tecnologie innovative».
Dice il saggio: Prevenire è meglio che curare. Quanto sono importanti conoscenza e prevenzione?
«Coltivare la conoscenza e impostare sin dall'inizio le politiche pubbliche tenendo conto dei dati che la scienza mette a disposizione è faticoso e privo di ritorni immediati, ma significa impiegare le risorse nella maniera più efficiente, così da evitare di dover far fronte continuamente ad emergenze. Questo, nel lungo termine, serve a migliorare le condizioni di vita di tutti i cittadini».
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