Ricostruzione, il modello è chiaro: bisogna aggiornarlo per uscire dalla crisi
L'analisi del vicepresidente della Regione oltre le commemorazioni dell'anniversario del terremoto in Friuli quarant'anni fa. Appello alle forze che ricostruirono il Friuli: fare le riforme e superare la frammentazione nella rappresentanza
di Sergio BolzonelloPORDENONE. Terremoto, ricostruzione e crisi economica. Io ci trovo alcuni punti di contatto e vorrei offrirli ai lettori, come ho già fatto all’assemblea di Confindustria Udine. Riduco a tre, per motivi di sintesi, gli elementi significativi relativi all'esperienza e alla lezione evocata dalla ricorrenza del quarantennale del terremoto.
Ricostruire
Primo, la ricostruzione non ci porta mai esattamente dove eravamo prima. Possiamo riutilizzare le stesse pietre, ricollocarle filologicamente negli stessi punti, recuperare con impegno, passione e perizia la geografia dei luoghi, delle fabbriche, della case, dei campanili, ma queste opere non saranno mai identiche a quelle del passato, anche se ne restituiscono l'apparenza. Le tecnologie sono comunque cambiate e il tempo trascorso le colloca in un'altra situazione, sociale, collettiva, ambientale.
Secondo, la ricostruzione deve avere anche la lungimiranza, l'ambizione e la forza progettuale di metterci al riparo da altri futuri eventuali pericoli.
Esserci tutti
Terzo elemento significativo: è un lavoro che si fa insieme. Tutti i livelli di governo, nazionale, regionale, locale; tutte le rappresentanze della società civile, sindacati, datori di lavoro; tutta la cittadinanza, colpita e non colpita dal sisma, hanno dato un contributo e indirizzato gli sforzi verso la ricostruzione, assumendo ciascuno impegni e responsabilità.
Ecco allora che se cerchiamo i parallelismi con il terremoto economico iniziato nel 2008 possiamo dire alcune cose. Primo, la ricostruzione economica non ci restituirà comunque il tessuto economico del 2008. Anche se potessimo riattivare tutte le attività colpite dalla crisi, lavorerebbero in un contesto globale di mercato completamente diverso e ci darebbero risultati comunque diversi da quelli del 2008 e degli anni che sono seguiti.
Del resto le attività che hanno attraversato indenni o quasi la crisi, o che negli anni della crisi sono addirittura cresciute, lo hanno potuto fare proprio cambiando, dimostrando capacità di adattamento, ricercando nuovi mercati, facendo innovazione, investimenti su nuove nicchie di prodotto, formazione, automazione.
Comunque partecipando al cambiamento, che è imposto dal cambio di paradigma economico in atto e che a sua volta è un tratto causale della crisi, in un circolo che spinge da un lato all'implosione dall'altro all'innovazione.
Forse non dovremmo più guardare alle serie storiche dal 2008, che inevitabilmente ci portano a fissare l'obiettivo del recupero dei numeri ante crisi. Dovremmo chiederci piuttosto quali siano i numeri che effettivamente possiamo avere, e dobbiamo avere, nel contesto attuale, se leggiamo la crisi oramai come un essere nel nuovo paradigma, sicuramente doloroso e traumatico, e a una nuova dimensione economica, che vede diffusamente, in occidente e soprattutto in Europa, una riduzione del numero delle imprese e degli occupati.
Il modello
Secondo elemento, dovremmo chiederci insieme anche quale sia il modello complessivo economico e di comunità che con questi numeri possa garantire comunque benessere e sicurezza, mettendoci al riparo da altri choc. E quali siano gli investimenti e i progetti che possano portarci a realizzare quel modello economico e di comunità, in una visione condivisa alla quale potremo arrivare reciprocamente legittimati se avremo la forza e la determinazione, anche attraverso aggiustamenti e correttivi, di chiudere positivamente la svolta delle riforme.
Terzo ed ultimo, anche questo infatti è un lavoro che si deve fare insieme, per alcuni aspetti di condivisione di fondo lavorando già dall'oggi con una sommatoria di intelligenze che superi la lettura solo politica, ma diventi progetto corale, come è stato fatto su Rilancimpresa.
Se questi sono i parallelismi, è evidente a tutti che sarà determinante andare oltre alla rappresentanza istituzionale, o politica e di categoria, perché ci sono bisogni, letture, problemi, soluzioni e tecnologie che non siamo in grado di vedere, o intravedere, se non attraverso un confronto intellettualmente onesto.
Oggi possiamo dire che l'esperienza devastante del terremoto e della ricostruzione è stata un passaggio fondante della nostra identità collettiva, con una Regione uscita allora legittimata -nei confronti del governo, delle amministrazioni locali e dei cittadini- come un'istituzione capace di affrontare le difficoltà e indirizzare le risorse alla soluzione concreta dei problemi.
L’erosione
Di questo patrimonio di fiducia, negli anni sicuramente eroso, siamo comunque ancora interpreti e proprio guardando ai momenti più duri della nostra storia abbiamo ora messo in campo una serie di riforme con il principale obiettivo di superare il momento e porre le basi di una ricostruzione economica, produttiva e quindi sociale e occupazionale del nostro territorio
Siamo ora nella fase del completamento e dell'attuazione delle riforme, per le quali è necessario ancora l'appoggio della società civile e del sistema delle imprese. Alla fine del percorso vedremo una Regione più attrattiva per nuovi investimenti, capace di fare economie di scala e massa critica per quanto riguarda consorzi di sviluppo industriale, parchi scientifici, porti, superando parcellizzazioni, doppioni e territorialismi.
Consapevole dei propri punti di forza con la strategia di specializzazione intelligente e forte della partnership dei cluster organizzati sul territorio per ciascuna area di specializzazione, con una serie di strumenti di incentivazione accessibili, trasparenti, non ridondanti e possibilmente semplici e celeri da ottenere.
Più asciutta nella rappresentanza locale, più attenta a sintonizzare la spesa sanitaria sugli effettivi bisogni di una popolazione sempre più anziana, più percorribile e infrastrutturata.
Il completamento delle riforme pone le basi per la ricostruzione economica della regione e per traghettarci realmente nel nuovo paradigma, e accompagnare le imprese verso il futuro che oggi si chiama industria 4.0, o quarta rivoluzione industriale e già domani potrebbe assumere ulteriori connotazioni, evoluzioni e accelerazioni.
(vicepresidente della Regione)
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