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Lo stallo a destra in Fvg tra rancori, veti e inciuci romani

Coalizione bloccata sia in Regione sia a Udine. Ritorna il fantasma della sconfitta del 2013

4 minuti di lettura

udine. C’è una coalizione in Fvg che pare non aver imparato nulla (o quantomeno molto poco) dal suicidio elettorale di poco meno di cinque anni fa, ai cui margini – nella penombra – si muovono esponenti che riemergono dalle secche di un’altra era politica e nella quale, giorno dopo giorno, si intravedono i contorni di una pentola a pressione pronta a scoppiare.

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Il centrodestra che in Regione vola nei sondaggi, insomma, procede, a essere gentili, con il freno a mano tirato nella definizione delle due candidature più importanti per la tornata elettorale del 29 aprile: quella a governatore del Fvg e quella a sindaco di Udine.

Un problema mica da poco, perché al di là della retorica formale di chi vaneggia di programmi, questa scelta è, in fin dei conti, l’unica che conta davvero. In epoca di maggioritario e di elezione diretta di presidente e sindaco, infatti, il candidato è il programma perché pensare che i cittadini scelgano una coalizione piuttosto che un’altra leggendo un papiro di proposte sul “mondo che vorrei” è utopia e illusione.

Serve un candidato governatore, quindi, condizione fondamentale, tra l’altro, per il definitivo via libera a Udine a Pietro Fontanini, bloccato in una sorta di terra di mezzo dall’ala centrista della coalizione – ma pure da Fratelli d’Italia – in virtù dello stallo sulle Regionali.

Un nulla di fatto, quello per piazza Unità, che rischia seriamente di mandare in frantumi la coalizione – specialmente se si dovesse arrivare a dopo il 4 marzo – e di ridisegnare, in Fvg, uno scenario simile a quello del 2013, anno in cui il centrodestra è riuscito nella non facile impresa di stringersi da solo il cappio consegnando la Regione a Debora Serracchiani. La sintesi è lontana perché nel blocco conservatore sta vincendo la tattica – di cui spesso in Italia si muore – sulla Politica, quella con la “P” maiuscola.

A oggi contano più i personalismi, e le strane alchimie teoriche, rispetto alla definizione del quadro d’insieme oltre che del comandante in capo. E così, lentamente, la nave del centrodestra si avvicina giorno dopo giorno agli scogli, senza che il manovratore, pardon, i manovratori, riportino la barra a dritta.

Riavvolgiamo i nastri della memoria e andiamo con ordine. Lunedì, Fratelli d’Italia ha chiesto a gran voce che sia il tavolo regionale a decidere – senza aspettare Roma – il candidato governatore. Ok, ma quando? Non si sa. La corsa, almeno, è ridotta a due? No, perché Fabio Scoccimarro ha compiuto «un passo di lato», ma in caso di «ulteriori indecisioni» non rinuncerà «a esprimere un candidato alla presidenza del Fvg», cioè se stesso.

Tutto chiaro almeno tra i meloniani? Nemmeno per idea. E non soltanto perché una fetta di partito chiuderebbe, anche domani, sul nome di Riccardo Riccardi – unico papabile candidato governatore che ha scelto di non partecipare alle Politiche –, ma pure per la posizione di Luca Ciriani.

Forza Italia – è il segreto di Pulcinella – si aspettava infatti un via libera al proprio candidato dopo aver ceduto a Fratelli d’Italia il collegio senatoriale (sicuro) di Udine e Pordenone in cambio di quello che, originalmente, sarebbe spettato al partito di Meloni e cioè l’uninominale – tutt’altro che blindato – di Trieste e Gorizia per palazzo Madama. Ciriani tuttavia, lunedì, ha sostenuto come l’importante sia «fare presto» e che «va bene Massimiliano Fedriga, va bene Riccardi, può andare bene anche qualcun altro» basta che si decida.

Poca roba per gli azzurri, insufficiente a sciogliere i nodi e, comunque, una posizione lontana da quell’investitura garantita, invece, da Renzo Tondo con cui l’accordo, per gli azzurri, pare sigillato dopo il placet di Forza Italia all’ex governatore per correre nel collegio di Trieste alla Camera (prendendosi pure in carico la seconda donna con Sandra Savino a Codroipo).

Pacta sunt servanda, dicevano i romani, e infatti a stretto giro di posta a Riccardi è arrivato sia il placet nazionale di Noi con l’Italia – per bocca di Raffaele Fitto – sia quello locale di Autonomia responsabile (che si somma all’appoggio sostanzialmente trovato da tempo con l’Udc di Angelo Compagnon), attraverso Valter Santarossa.

Siccome però, come recita un antico proverbio, il diavolo si nasconde nei dettagli, il comunicato di Santarossa svela, nella sua parte finale, un altro capitolo della saga del centrodestra. Quando il consigliere sostiene che «le strategie volte a scomporre per ricomporre successivamente ci sono già costate care in altre circostanze» lancia un messaggio – lo capirebbe anche un neofita – da recapitare a Martignacco, sede “sociale” di Giuseppe Ferruccio Saro.

Sì, diretto all’ex senatore che da mesi veste i panni dell’angelo custode di Fedriga tanto da aver accompagnato il capogruppo all’incontro con i rappresentanti della Slovenska Skupnost e aver organizzato, non a caso, il dibattito di lunedì prossimo (a Martignacco, ça va sans dire) tra l’onorevole e il candidato del Pd Tommaso Cerno.

Saro, lo sanno pure i muri, vorrebbe Fedriga governatore, ma se il deputato resterà a Roma, dove sarebbe in corsa per ottenere un incarico di governo per il quale potrebbero spendersi anche i futuri parlamentari azzurri del Fvg, all’ex senatore andrebbe bene più o meno chiunque tranne Riccardi. E in questo senso la sua posizione ha un peso non banale nella strategia attendista della Lega che punta ad arrivare al dopo 4 marzo, ma pure dello stesso Saro per il quale il governissimo a Roma è qualcosa di pressoché scontato e dunque si muove di conseguenza.

Tramontata la possibilità di “infiltrare” Forza Italia utilizzando Stefano Balloch – incandidabile alla presidenza e con il sindaco che ha detto di sentirsi comunque parte integrante del partito nonostante l’addio all’ipotesi Senato –, Saro accetterebbe Sergio Bini (cui ieri è arrivato il rinnovo dell’appoggio da parte di Gaetano Quagliariello) oppure un esponente della società civile – ma non si capisce chi – e nel frattempo lavora alla fusione (per incorporazione) tra Regione Speciale e ProgettoFvg cercando di arrivare a un’ipotetica lista del presidente, mentre a Udine spinge affinché si converga su Enrico Bertossi.

Metodo classico, si mormora nei corridoi di Palazzo, quello dell’ex senatore che in tanti definiscono come la «miglior impresa di demolizioni (del centrodestra)» in regione, ma resta il fatto che questa inconsueta liasion padano-socialista scombussola gli equilibri, e aumenta le stranezze – visto che Saro non rappresenta alcun partito politico dell’alleanza – di una coalizione che da qualche giorno deve pure fare i conti con l’affondamento della maggioranza di Fdi a Martignacco, troppo pesante, nei modi e nei commenti, per essere derubricata a scaramuccia locale.

Se a questo schema, poi, ci aggiungiamo il fantasma del 2013 quando Franco Bandelli, assieme a tutto ciò che stava alle sue spalle, portò alla sconfitta la gioiosa macchina da guerra conservatrice, nei confronti di un Pd che fino a poche settimane dal voto pensava di arrivare terzo e invece si trovò inaspettatamente vittorioso, bene si capiscono i mal di pancia, anche se per il momento soltanto sotterranei, che agitano il centrodestra. Certo, non è che a sinistra si stia molto meglio, ed è vero.

Ma almeno nel Pd un candidato ufficiale è in campo da mesi – Sergio Bolzonello – e, pur tra mille difficoltà, si sta lavorando per la coalizione. A destra, invece, si naviga in un mare burrascoso con Roma che, tra l’altro, ora pare interessarsi ben poco al destino della Regione.

Così, probabilmente, da queste parti c’è bisogno di una sterzata, anche a costo di “rompere”, per non svegliarsi, la mattina del 30 aprile, e accorgersi di sedere nuovamente tra i banchi dell’opposizione tanto a piazza Unità quanto a palazzo D’Aronco. A meno che Matteo Renzi e Silvio Berlusconi non si scoprano, in Parlamento, autosufficienti trasformando il Fvg, ancora una volta, in una regione laboratorio all’insegna del simul stabunt simul cadent. Ma questa è un’altra storia e forse, almeno per il momento, soltanto fantascienza politica.

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