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Violenza privata, 3 mesi all’architetto Pirzio Biroli

Era stato denunciato dal fratello Corrado per avere intralciato i lavori di ristrutturazione della villa Savorgnan di Brazzà

Luana de Francisco
1 minuto di lettura
Roberto Pirzio Biroli 

UDINE. Non è la prima volta che le loro divergenze approdano in un’aula di giustizia. Ieri, a certificare la frattura tra gli eredi Pirzio Biroli è stata la sentenza di condanna emessa nei confronti dell’architetto Roberto, 77 anni, che il fratello Corrado aveva denunciato cinque anni fa per una serie di ipotesi di violenza privata.

Tre mesi di reclusione, sospesi con la condizionale, la pena inflitta dal giudice monocratico del tribunale di Udine, Paolo Lauteri, a fronte dei sei mesi chiesti dal pm onorario, che, a conclusione della lunga istruttoria dibattimentale, aveva ritenuto provati tutti gli episodi contestati. Per uno dei quattro capi, invece, è stato pronunciato verdetto di assoluzione «perché il fatto non costituisce reato».

Al centro del procedimento, la ristrutturazione di villa Savorgnan di Brazzà, a Brazzacco, di proprietà di Corrado, e gli «ostacoli» che il fratello – attualmente candidato alle Comunali di Dignano, sotto il simbolo del blogger Gianfranco Leonarduzzi – era stato accusato di avere ripetutamente posto all’impresa incaricata dei lavori, così «impedendo o, comunque, ritardandone lo svolgimento».

Da qui, la richiesta di risarcimento pretesa da Corrado, costituitosi parte civile con l’avvocato Luca Zema, e la decisione del giudice di riconoscere e quantificare il danno in 3 mila euro. Il difensore, avvocato Franco Giunchi, che si è riservato di ricorrere in appello, aveva escluso «qualsiasi forma di violenza, minaccia e intenzione» di intralciare il cantiere, sostenendo trattarsi, semmai, di «contrasti» puntualmente «giustificati» in aula.

Come nel caso dell’auto che, un giorno, Roberto Pirzio Biroli lasciò parcheggiata proprio nella zona in cui avrebbe dovuto essere effettuato uno scavo.

«Nessuno lo aveva avvertito – ha argomentato l’avvocato Giunchi – e quando è stato chiamato, stava dormendo. Una volta informato, non ha esitato ad andare a spostarla». Quanto agli «intralci» che gli erano stati contestati la volta in cui, avvedutosi degli scavi al centro del viale che porta alla villa, aveva intrapreso una lunga discussione con gli addetti dell’impresa, «temeva soltanto che potessero danneggiare una condotta del Settecento».

Nel terzo episodio era transitato con l’auto in una zona in cui erano in corso i lavori. Tratto, non a caso, transennato. «Adoperò la corsia riservata al passaggio – ha detto il difensore –: una decina di secondi appena, per una distanza di 200 metri». L’assoluzione si riferisce all’ingresso nel cantiere il 1° maggio per scattare delle foto: quel giorno, va da sé, non vi fu alcuna interruzione.
 

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