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Borsellino ucciso 27 anni fa: serve una scelta di campo contro il degrado culturale e politico

Pierluigi Di Piazza: vivere la memoria di chi ha dato la propria vita per la giustizia, la libertà e la democrazia dovrebbe di per sé nutrire la sensibilità e sollecitare alla disponibilità e all'impegno

Pierluigi Di Piazza
3 minuti di lettura
(ansa)

UDINE. Il 19 luglio è una data drammatica nella storia del nostro Paese. Neanche due mesi dopo la strage di Capaci del 23 maggio, la mafia con una azione da guerra in via D’Amelio ha ucciso il giudice Paolo Borsellino e le persone che lo accompagnavano per proteggerlo: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Limuli, Claudio Traina e Walter Eddie Cosina di Muggia, cittadino di questa regione. Era il luglio del 1992.

L'audio di Borsellino in Commissione antimafia: "Io senza scorta libero di essere ucciso la sera"



Si vive e come questa memoria insieme drammatica, dolorosa e luminosa nella nostra Regione? Pare in tono minore, e questo è grave, quasi non riguardasse tutte noi e tutti noi.

Basti pensare alla reazione media quando con i riscontri di indagini e i successivi arresti si è evidenziata la presenza delle mafie anche nelle regioni del Nordest, Friuli Venezia Giulia compreso.

Palermo, la figlia di Borsellino: "Mio padre lasciato solo da vivo e da morto"

Molto scarse le reazioni se si eccettua la presenza e l'impegno continui di Libera di cui è presidente don Luigi Ciotti; i percorsi di memoria, giustizia e legalità che coinvolgono numerosi insegnanti e studenti, lo scorso anno mille giovani.

Sono certo importanti la legge regionale 2017 di contrasto alle mafie e di promozione di una cultura della giustizia e della legalità e il costituito Osservatorio regionale antimafia, a condizione che vengano attuati con progetti continui concretizzati nella quotidianità.

Si evidenzia una sproporzione impressionante che induce a serie riflessioni tra le reazioni immediate, irrazionali negative nei confronti degli immigrati costruiti con la menzogna come nemici e la scarsa o inesistente reazione nei confronti dei dati preoccupanti sulle presenze e azioni delle mafie come se il problema non siano le mafie ma i migranti; come se la corruzione (140 miliardi annui) e l’evasione fiscale (100 miliardi annui) non suscitino sconcerto e sdegno morale. Invece ci sono per lo più accettazione e silenzio.

Nella ricerca svolta da Libera e resa pubblica nel rapporto di LiberaIdee su quasi 300 questionari somministrati nella nostra regione (pari al 2,8% del campione nazionale) la mafia viene percepita come fenomeno marginale e la corruzione come poco diffusa.

Invece nelle tre giornate promosse da Libera a Trieste all’inizio dello scorso febbraio si sono evidenziate le presenze delle mafie constatando che il Friuli Venezia Giulia è un terreno appetibile per gli investimenti e per le condizioni favorevoli di mafie transnazionali; si è riflettuto sull’ultimo rapporto della commissione antimafia che in modo dettagliato con passaggi da considerare con tutta l’attenzione descrive le nuove modalità dell’organizzazione, penetrazione e stabilizzazione delle mafie anche sul territorio regionale; una presenza sempre più diffusa in diversi settori purtroppo accettata perché meno evidente, con una vasta zona grigia di persone insospettabili nei diversi ambiti e settori e professioni.

Dovrebbe esserci una memoria viva molto più presente ed estesa per sentirci sollecitati all’impegno per contrastare la mentalità e la pratica mafiose, quella dell'evasione della corruzione e questo con una cultura della giustizia e della legalità mai disgiunte fra loro nelle scuole, nelle diverse associazioni, nei gruppi e movimenti, nelle istituzioni, nei partiti e nella Chiesa.

Vivere la memoria di chi ha dato la propria vita per la giustizia, la libertà e la democrazia dovrebbe di per sé nutrire la sensibilità e sollecitare alla disponibilità e all'impegno.

Tra le due date drammatiche del 23 maggio e del 19 luglio 1992 Paolo Borsellino che sentiva avvicinarsi la morte, parlò in pubblico una sola volta; e così fra l’altro disse: «Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia lo avrebbe un giorno ucciso… perché non è fuggito, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore!

La sua vita è stata un atto di amore verso questa città, verso questa terra che lo ha generato perché se l'amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui e per coloro che gli siamo stati accanto in questa meravigliosa avventura, amore verso Palermo e la sua gente ha avuto ed ha il significato di dare a questa terra “qualcosa”, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la Patria a cui essa appartiene».

Borsellino parlava dell’amico Giovanni e nello stesso tempo parlava di se stesso perché quello era anche il suo modo di essere e di vivere. La sua voce ascoltata dalle registrazioni in questi giorni suscita amarezza, sdegno morale e ammirazione, suona come denuncia alle disfunzioni e alla latitanza dello Stato e conferma la totale disponibilità di questi uomini per l’affermazione della giustizia.

Per ricordare i 20 anni della strage di via D’Amelio, Roberto Scarpinato con loro nel pool antimafia e oggi Procuratore generale a Palermo disse parole forti di denuncia dell’ipocrisia di certe presenze a quelle celebrazioni e rivolgendosi direttamente a lui, a Paolo Borsellino disse: «Tu e Giovanni siete stati molto di più che magistrati esemplari, siete stati soprattutto straordinari creatori di senso».

Ecco, di questo abbiamo bisogno tutti in questa regione e in questo Paese: di un senso profondo, di una chiara scelta di campo per attuare giustizia e legalità sempre unite, libertà e democrazia, per contrastare in modo propositivo e attivo l’attuale degrado culturale etico, politico e legislativo. —


 

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