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Stretta di Poste italiane sugli uffici: ecco chi apre e chi chiude

L’azienda: «Servizio garantito sul territorio in proporzione al numero di abitanti». I sindacati: «I locali aperti sono congestionati e spesso non vengono sanificati»

2 minuti di lettura

Servizio postale ridimensionato a causa del coronavirus. Su 330 uffici attivi in Friuli Venezia Giulia, oltre la metà – 189 in tutto – hanno subito riduzioni degli orari di apertura se non direttamente chiusure. Così Poste Italiane risponde all’emergenza. Dinnanzi alla rapida evoluzione dell’epidemia e agli ultimi provvedimenti emanati dal Governo, l’azienda ha proceduto – con l’avvallo dell’Agcom – a rimodulare gli orari degli sportelli nonché le modalità operative del recapito.



IL PIANO. Sta prendendo corpo in questi giorni e prevede la temporanea chiusura di 89 uffici – 36 in provincia di Pordenone, 30 a Udine, 8 a Gorizia e 15 a Trieste –, il passaggio di 29 dal turno doppio al singolo – 15 a Udine e provincia, 7 a Pordenone, 3 a Gorizia e 4 a Trieste – e l’apertura di altri 68 per soli tre giorni alla settimana – 44 a Udine, 12 a Pordenone, 11 a Gorizia e 1 a Trieste –. Per 144 l’operatività è confermata: continueranno a erogare il servizio nei consueti orari, a partire dagli uffici di riferimento delle quattro città capoluogo. La novità ha destato come naturale più di qualche lamentela nella popolazione. In particolare quella anziana per cui l’ufficio postale rappresenta un presidio fondamentale per il ritiro della corrispondenza, il pagamento delle bollette, l’accredito della pensione nonché il prelievo del denaro contante. Poste spiega così la decisione.

«Considerata l’evoluzione della situazione epidemiologica e l’incremento dei casi di contagio sul territorio nazionale l’azienda garantisce il servizio con un numero omogeneo di uffici postali aperti – spiega in una nota stampa – in proporzione agli abitanti di ciascun Comune. Saranno dunque contingentate le aperture pomeridiane degli uffici aperti su doppio turno e di quelli aperti solo al mattino. Inoltre, nei Comuni con un unico ufficio postale, l’apertura avverrà a giorni alterni».

IL RECAPITO. Anche il recapito è stato ripensato alla luce dell’epidemia per garantire i postini da un lato e i cittadini dall’altro considerato che ante virus, tra il portalettere e l’utente, era normale passarsi di mano la corrispondenza raccomandata.

Quel gesto, autentico simbolo del mestiere, almeno per un po’ dovrà ora essere dimenticato in funzione di una più algida ma sicura procedura: «Il portalettere – spiega ancora Poste – provvederà all’immissione dell’invio nella cassetta domiciliare o in luogo con condizioni minime di sicurezza, informando il destinatario o altra persona abilitata di tale modalità di consegna e attestandola, in qualità di incaricato di pubblico servizio, con la propria firma sui modelli di consegna e gli avvisi di ricevimento». Niente firma del destinatario dunque. Per le raccomandate come per i pacchi.

Quanto agli invii in contrassegno o con consegna a mani proprie saranno depositati direttamente all’ufficio postale, previo rilascio dell’avviso di giacenza. Idem per le notifiche a mezzo posta, come nel caso di atti giudiziari: tenuto conto dell’impossibilità di effettuare il recapito a mano, a tutela della salute dei lavoratori e degli utenti, gli invii saranno direttamente depositati negli uffici postali.

I LAVORATORI. Pensa a loro il sindacato di categoria che alle misure varate da Poste fa pollice verso. Per diverse ragioni. Nella nota inviata ieri all’azienda, le segreterie regionali di Slp Cisl, Cgil Slc, Uil Poste e Failp Cisal segnalano come il piano di chiusure e razionalizzazioni abbia prodotto l’effetto «di congestionare gli uffici rimasti aperti e creare di fatto una differenziazione tra lavoratori sospesi dal servizio e quelli tenuti a svolgere regolarmente la propria prestazione lavorativa».

I sindacalisti chiedono maggiore vigilanza, perché «per effetto delle razionalizzazioni e chiusure registrano flussi superiori di clientela che vengono gestiti esclusivamente dal personale senza supporto alcuno». Il sindacato segnala infine «le sanificazioni dei luoghi di lavoro in molti casi non sono state effettuate che non è stata completata la fornitura dei dispositivi di protezione».

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