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Guarito dopo 54 giorni di quarantena: «Vi racconto com’è tornare in mezzo a voi»

I sintomi, le notti insonni, il mondo che finisce sull’uscio di casa. E poi finalmente la luce: «Che fortuna vivere a Pordenone»

2 minuti di lettura

PORDENONE. Sembra una cosa lontana, di quelle che si sentono al telegiornale e che capitano solo agli altri. Poi una sera di marzo, quando all’improvviso arriva la febbre, inizia anche la preoccupazione.

I sintomi sono quelli del coronavirus, un po’ di tempo dopo il tampone lo confermerà. Un virus che mi accompagnerà per 54 giorni.

Sono stato molto fortunato: non ho avuto sintomi gravi e quindi non ho avuto bisogno del ricovero in ospedale. La parte peggiore è stata l’ansia. Un po’ di preoccupazione per la salute, visto il periodo, c’era. Ma erano altri i pensieri, sia per me che per la mia compagna Anna, infermiera al Santa Maria degli Angeli. Anche lei positiva.

La ricostruzione degli incontri toglie il sonno per molte notti, con la paura di aver compromesso la salute di qualcun altro. Quando ho visto per l’ultima volta mia mamma? Siamo entrati in contatto? Potrei averla contagiata? Ha 71 anni ed è in una fascia di età ad alto rischio. Non me lo perdonerei mai.

Una dopo l’altra passano le notti insonni, con il pensiero di aver fatto del male a qualcuno. Le giornate prendono nuove routine, con la telefonata quotidiana dell’azienda sanitaria per il controllo delle condizioni di salute.

È un bel sollievo, poter realizzare che lo Stato pensa a noi, funziona, e lo fa con persone che oltre alla professionalità ci mettono un’empatia che nessun contratto richiede.

Che boccata d’aria in questi tempi colmi di odio sapere che c’è qualcuno che riesce a essere empatico con un perfetto sconosciuto. Quanta pace dà la sospensione del giudizio.

Il mondo lo si guarda da un oblò, il viaggio è mentale, disegnato nelle pagine Tiziano Terzani e Paolo Rumiz. Il coronavirus insegna anche che da soli non si va molto lontano, anzi. Non si va proprio da nessuna parte.

In primis perché il mondo finisce sull’uscio. Scendere le scale per andare in cantina potrebbe essere un pericolo per gli altri condòmini.

Anche una cosa banale come andare a fare la spesa dipende da qualcun altro. È una fortuna avere della famiglie che lo fanno per noi, e lo propongono prima di ricevere una richiesta.

Il coronavirus porta anche un po’ di sorprese. Quelle un po’ grigie di chi mette da parte la razionalità, sottovalutando i pericoli di questa malattia o credendo alle teorie più strampalate; quelle brutte, quando settimana dopo settimana arriva la telefonata che comunica la positività del tampone, quando arriva la proposta di proseguire l’isolamento in una struttura per pazienti covid in una base militare.

Ma soprattutto ci sono le belle soprese. Le telefonate inaspettate, i messaggi e anche il sapere questa e quella persona non si sono fatte vive, ma hanno chiesto notizie alle loro fonti, perché la voce è girata.

È anche il bello di Pordenone. Nel nostro paesotto, con buona pace di chi crede provincialmente di essere una città, le informazioni girano ancora velocissime alla vecchia maniera, quella dei borghi, delle comunità.

Il mio ritorno alla libertà dopo due mesi sarà alla radici delle nostra Pordenone. Una passeggiata tra i campi in Comina e un giro in bicicletta tra quelli di Villanova Vecchia. La fase due, dopo aver ripreso la forma, sarà vedere la città dall’alto, da Cima Manera.

Che fortuna vivere a Pordenone.

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